GENOVA. Sir Thomas Overbury nel suo poema “A Wife” (1613) scriveva: All the carnal beauty of my wife is but skin-deep (tutta la bellezza carnale di mia moglie non è che superficiale). Ma come affrontare il fascino eterno della carne e il modo in cui viene confuso con le questioni “sottocutanee”, soprattutto per quanto riguarda quella parte del corpo più inafferrabile: l’anima?

Qual è la ragione per cui vogliamo possedere un bel fiore al culmine della sua fioritura, se un giorno andrà a perdere i suoi petali? Inseguiamo ephemeron a nostro rischio e pericolo. Fin dall’antichità abbiamo cercato di abitare un universo alternativo, consegnando e attribuendo alla bellezza superficiale caratteristiche funzionali ad un’idea, come per esempio nel mondo greco e romano in cui la proporzione e l’armonia erano non solo indice di bellezza, ma di bontà e virtù. La kalokagathìa infatti indicava nella cultura greca del V secolo a.C. l’ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo. Cambiati i secoli e cambiati i canoni e le idee di bellezza, non ne sono cambiate le effimere qualità, perché effimeri ne sono i canoni di valutazione.

Skin Deep non vuole essere un trattato, un’analisi dettagliata e profonda sull’estetica, nei significati attribuiti alla bellezza della carne, in particolare nell’arte, ma proporre l’esplorazione, la pulsione desiderante di sei modalità dello sguardo scaturite da mondi e realtà diverse, che sfiorano i corpi raccontandoci e raccontandosi le loro esperienze e i lori pensieri sul concetto di Bellezza.

 

Herbert List
Herbert List

 

Herb List (Hamburg 1903-1975), uno dei massimi esponenti della fotografia metafisica nella quale riversò le influenze e le suggestioni di varie correnti artistiche, dal Classicismo alla Bauhaus, dal Surrealismo alla Pittura Metafisica, fino al Neorealismo italiano del dopoguerra. Il suo inconfondibile stile austero e magico allo stesso tempo, ricco di riferimenti artistici, ha influenzato intere generazioni di fotografi, imprigionando il corpo maschile nella libertà più assoluta, in un lirismo da neorealismo, in un vortice di bianchi e neri che ancora oggi dopo più di settanta anni, hanno il potere di emozionare e farci parlare. Uno dei più importanti esponenti della fotografia omoerotica, List ci ha lasciato immagini pure ed equilibrate, cariche di simbolismi e personali proiezioni positive, rimandi alla mitologia greca, con l’intento di catturare la magia dell’apparizione.

 

Flor Garduño
Flor Garduño

Flor Garduño (Mexico City 1957), carica di elementi e simbologie che appartengono alla natura, i corpi raffinati ed enigmatici delle sue figure femminili, come le grandi foglie, le calle bianche, la frutta, le piume, i pesci, stregando la vista e trattenendo una carica erotica che si immerge nella riflessione del rapporto dell’uomo con l’elemento naturale, come la ricerca di una fusione della nostra pelle con la natura, ricomponendo un legame perso o solo apparentemente sopito e una dimensione rappacificata col proprio corpo e il mondo. In Hoja Elegante, 1998 (foglia elegante) per esempio Garduño suggerisce il legame fra donna e natura: la grande foglia con la quale il corpo si copre sembra voler fondersi in un tutt’uno fino a farci chiedere dove finisce la grande foglia e inizia il corpo? Nella ricerca dell’eterno, o di un tempo senza tempo, la bellezza è ancora umana o divina?

 

Ninni Pepe
Ninni Pepe

 

Ninni Pepe, (Fasano di Brindisi, 1956) nell’immagini che fanno parte di “The Form’s Machine”, fotografa il suo stesso torso, il suo ventre, che grazie all’imposizione delle mani assume diverse forme simboliche, nel tentativo, vano, di esorcizzare la decadenza del tempo, come, nelle parole di Denis Curti, a voler accogliere: “…. il “chaos”, il “cuore”, la “croce” e l’”infinito” come alcuni tra gli elementi che l’autore mima e descrive con le sue stesse mani e la sua stessa pancia, donando loro nuova forma e significato. È come se l’ironia, il gioco e l’immaginazione mettessero in scena gli amori e le ossessioni più intime dell’autore, quei concetti astratti che lo appassionano e lo affascinano così tanto da indurlo a realizzarne la rappresentazione simbolica, in prima persona, con uno stile fotografico altamente realistico e sintetico. Tutto allora si risolve sul corpo e attraverso il corpo, mentre la nudità rende ancor più chiara l’idea ispiratrice, depurandola da possibili contaminazioni e da possibili interferenze estetiche. In tal modo il sentimento dell’uomo e dell’artista si esprimono nella performance, senza filtri né mediazioni, mentre la macchina fotografica ne registra l’immagine con la precisione di un nitido bianco e nero.”

 

Patrick Willocq
Patrick Willocq

 

Patrick Willocq, (Strasbourg, 1969) nelle immagini di “Wale’ Waleke”, rende omaggio alla maternità, la fertilità e femminilità, osservando delle giovani madri, chiamate Walé (“madre primipara”) dei Pigmei Ekonda della Repubblica Democratica del Congo, nel momento in cui, finito l’isolamento di almeno un paio di anni dovuto alla nascita del primo figlio, le giovani madri ritornano al villaggio. Il rispettare vari tabù, soprattutto sessuali, fanno acquisire loro uno status simile a quello di un patriarca. La fine dell’isolamento è caratterizzata da danze e canti rituali altamente codificati, che sono, di volta in volta, una creazione unica per ogni Walé. Un rituale altamente competitivo che si basa sull’acquisire più prestigio e potere rispetto agli avversari e aumentare l’onore della famiglia. Quando una giovane madre diventa Walé acquisisce un soprannome che la differenzia dalle sue rivali e la posiziona agli occhi della comunità. Ogni giorno la giovane donna si prepara a un’elaborata toilette volta a focalizzare l’attenzione di tutti su di lei. Una miscela di polvere rossa di legno ngola con olio di palma, che spalma a coprire il proprio corpo insieme alle acconciature sofisticate, fatte di cenere, foglie bopokoloko e olio di palma, sono il modo per le donne Walé di ostentare la loro superiorità, bellezza e la loro unicità.

 

Alessio Delfino
Alessio Delfino

 

Alessio Delfino, (Savona 1976) con la composizione di 5 opere tratte dal nuovo progetto ex tenebris lux continua a proporci il suo indissolubile legame con la “scrittura della luce”, con la fotografia come una parte di sé, da quando ragazzo, in camera oscura, dosava filtri e diaframmi o modulava sensibilmente il preciso movimento delle standarde del banco ottico. In questi nudi corpi sospesi, levigati e perfetti, avvertiamo qualcosa di sacro. Veniamo alla luce e ce ne andiamo quando questa nostra luce si spegne. Può tutto ciò essere raccontato in un’immagine scritta dalla luce? Possiamo raccontare quell’istante in cui il buio cala e la nostra luce ascende, attratta forse da una nuova e più forte luminosità? Può una fotografia racchiudere la morte e la vita nello stesso istante? Si può raccontare questo passaggio con la diafana purezza di un corpo, venuto nudo alla luce e destinato, con grande dignità, a spegnersi, spoglio di ogni inutile segno del transito su questa terra? Come nell’eterno avvicendarsi del ciclo delle stagioni, così l’ascesa di un corpo dalle tenebre alla luce si fa epifania nell’ immagine dell’artista.

 

Nicolò Paoli
Nicolò Paoli

 

Nicolò’ Paoli (Mirandola, MO 1980) riprende corpi femminili rivalutandone i volumi e il divenire temporale attraverso tecniche di stampa e di produzione, come l’uso di superfici metalliche, di materiali e resine estranei alla consuetudine della fotografia. L’inarrestabile ossidazione, la reazione chimica, gli affioramenti della ruggine, le incrostature e sgocciolature di colle e vernici sulla pelle dell’immagine, sul corpo, ne modificano la superficie e l’intento originario. Se la fotografia è fissare, cristallizzare l’attimo, Paoli sembra volerne ribaltare la natura, contrastando l’aspirazione all’immortalità che ogni artista destina alle proprie opere, consegnandole al tempo.
Nel suo divenire lento, ma progressivo, il corpo modifica forma, apparenza, efficienza. Come un fiore perde, inevitabilmente, i suoi petali, così un corpo sboccia e, nel tempo, sfiorisce. Inseguire le seduzioni di ephemeron non ha senso quando la bellezza è profonda quanto la nostra pelle……. ma continuiamo a perseguirla, forse perché le possibilità’ di vedere, contemplare e godere insite nell’arte, restano fruibili da chiunque, lasciando aperta l’opportunità a nuove interpretazioni, a nuove declinazioni dell’opera stessa: il valore sociale della Bellezza, va oltre la superficie, è attribuibile insieme all’individuo e alla collettività, al soggetto e all’oggetto, all’uomo e alla natura, in quell’incessante ricerca di dare un significato alla nostra breve esistenza.

 

Skin deep 

Dove: VisionQuesT 4rosso, Piazza Invrea 4 r, Genova
Quando: 28 aprile – 3 giugno 2017
Orari: dal martedi al sabato 15.00 – 19.00 e su appuntamento
Info: www.visionquest.it