Ho adorato tutto. Dalla scelta dei fotografi agli allestimenti che non lasciano nulla al caso; dalla polvere in terra, che sa tanto di storia e vissuto, ai muri rovinati e segnati dal tempo. Hanno fatto un lavoro immenso i ragazzi di Riaperture festival di Ferrara. E sono riusciti davvero a farci restare a bocca aperta, dalla prima all’ultima mostra.
Ma partiamo dall’inizio, come se chi fosse capitato su questa pagina non sapesse nulla di questo festival fotografico che, da tre edizioni, porta la fotografia a Ferrara.
E come? Riaprendo alcuni dei luoghi del centro storico ormai in disuso, abbandonati, chiusi al pubblico da anni e che, grazie a Riaperture, hanno un’opportunità di essere aperti, vissuti, esplorati.
E ora guardate le foto, non leggete neanche. Capirete subito perché questo è un festival che non dovete perdere.
Ma fate in fretta perchè dura soli due week end. Il primo, dal 29 al 30 marzo è già andato, ma avete ancora la possibilità di correre a Ferrara, il 5,6 o 7 aprile per scoprire -tra gli altri – Palazzo Massari e Palazzo Prosperi-Sacrati, la caserma e la cavallerizza di Pozzuolo del Friuli.
E le mostre custodite al loro interno, come quella sulle grandi navi di Venezia di Gianni Berengo Gardin; il reportage di Francesco Cito sul muro che divide Israele e i territori palestinesi o, ancora; la mostra sulla maternità di Elinor Carucci o le sentinelle di Claudia Gori.
Mostre e nomi interessanti della fotografia, con scatti che trovano spazio tra le imperfezioni dei muri, tra termosifoni e scatole elettriche. Come alla Factory Grisù, l’ex caserma dei vigili del fuoco oggi recuperata dall’omonimo consorzio, dove le foto di Gardin sulle grandi navi di Venezia si fanno spazio tra le mura del vecchio magazzino per raccontare una storia di inquinamento visivo in una delle città in cui il turismo di massa la fa ormai da padrona.
Mentre nel sottoscala, tra le colonne, divani e sedie, si fanno spazio le fotografie di Marika Puicher, un racconto di accettazione – senza discriminazioni – dell’omosessualità.
Qui trovano spazio, poi, le foto che hanno vinto il concorso fotografico di Riaperture e i lavori del laboratorio Cidas, con i lavori di 15 migranti provenienti da tutto il mondo.
Il percorso prosegue a Palazzo Prosperi-Sacrati, vicino a Palazzo Diamanti. In attesa di restauro, il palazzo costruito nel 1493, ospita la mostra di Simon Lehner, giovane autore premiato al Paris Photo nel 2018. Un’indagine sull’identità, sul passato di un bambino e il rapporto col padre, sui rapporti da ricostruire e, quindi, sul futuro che questa relazione potrà mai avere.
Le foto si fanno spazio nel piccolo giardino, appese con un filo tra sottili cornici. Ma le sorprese non sono finite: grazie a Riaperture è infatti anche possibile ammirare anche la piccionaia, racchiusa in un’ala del palazzo, tra statue antiche e una scalinata ad effetto.
Ancora, aperto al pubblico di Riaperture anche Palazzo Massari, chiuso nel 2012 a causa del terremoto che ha colpito l’Emilia. Uno spazio ampio del Cinquecento che riapre le porte per ospitare le mostre di Ettore Moni, con un focus sulle alpi e la presenza dell’uomo sempre più massiccia in questi territori, e di Mattia Balsamini che parte dai ricordi di un bambino per parlare del futuro delle nuove tecnologie.
Il viaggio per Riaperture passa poi per la Salumaia dell’Hotel Duchessa Isabella, una rimessa che trova spazio nel giardino dell’hotel, luogo privato di degustazione vini e prodotti tipici ferraresi. Qui, tra antiche bottiglie di vino, stoviglie e pentolini di rame appesi alle pareti, sono disposte le fotografie di Tania Franco Klein con un progetto sui sex robots, lavoro commissionto dal New York Times.
In pieno centro, poi, le fotografie trovano spazio tra cielo e mura dei palazzi storici di Ferrara. In via Mazzini, infatti, appese tra fili sottili, si fanno spazio le fotografie del progetto ‘Displacement‘ di Giovanni Cocco. Foto e testi (questa volta di Caterina Serra) fanno diventare una delle vie principali della città una vera e propria mostra a cielo aperto dedicata alla città de L’Aquila, ancora alle prese con la ricostruzione dopo il sisma del 2009. Lo sguardo all’insù per scoprire il racconto della gente rimasta senza casa, di chi ha abbandonato la città per ricostruirsi una nuova vita.
Aperto anche il negozio di via Garibaldi 3, sempre in centro città. Un’attività commerciale che, risentendo della crisi delle botteghe tradizionali, rimane spesso troppo vuota, nonostante la posizione centralissima.
E’ qui si fa spazio la mostra di Claudio Majorana che con ‘The Lost generation’ ci presenta la generazione perduta, di chi, tra i 15 e i 29 anni, non è impegnata in nessuna attività, nè di studio o lavoro.
Le foto trovano spazio tra l’arredamento dell’ultimo negozio, una vecchia ricevitoria, quasi a simboleggiare la scommessa che questi giovani si stanno giocando per il loro futuro.
E si arriva alle due ultime sedi. Due strutture abbandonate che Riaperture ci permette di scoprire in tutta la loro bellezza. Due sedi ricche di fascino, che hanno lasciato me ma anche tantissimi altri visitatori a bocca aperta: la caserma e la cavallerizza Pozzuolo del Friuli. Due tra le strutture più belle che il festival ha riaperto per questa edizione.
La caserma, inaugurata negli anni Trenta e chiusa nel 1997, ospitava l’esercito prima della riorganizzazione ministeriale. Abbandonata, la struttura si è detriorata, ma è ancora possibile vedere i mosaici, gli affreschi e le statue negli interni. Lunghi corridoi stretti si aprono poi su ampie stanze dove sono state allestite le mostre di Eugenio Grosso, sul Kurdistan, Zoe Paterniani, con il suo viaggio in Medio Oriente, arrivando poi alla mostra più ampia e intima di Elinor Carucci, con una riflessione sulla maternità e la famiglia. Una mostra tra le più magiche, in cui perdersi per molto tempo.
All’esterno, nella camerata, tra tavolini di biliardo e quello che forse era un vecchio bar interno, si fa spazio ‘Il muro d’Israele’ il progetto di Francesco Cito sulla barriera difensiva che divide Israele e i territori palestinesi.
Alla cavallerizza, infine, le foto di Claudia Gori, sulle sentinelle, ovvero persone che soffrono di ipersensibilità ai campi elettromagnetici. Anche qui l’allestimento paga. Le foto, stampate su teloni appesi alle mura della struttura, permettono di perdersi nella magnificenza della cavallerizza, un capannone stile liberty usato in passato – prima della chiusura – come parcheggio di veicoli militari, salmerie e gruppi elettrogeni.
Insomma, un bel viaggio. Tra mostre che fanno riflettere, sognare, pensare, intuire, programmare, reagire. Il tutto con una delicatezza, negli allestimenti e nelle proposte dei luoghi, davvero invidiabile.
Ed è difficile da capire, da raccontare, senza essere lì presenti. Meglio esserci e viverlo di persona, lasciarsi rapire dai posti, dalle fotografie, lasciarsi trascinare in questa avventura.
E poi lasciatemelo dire. Questo è un festival che, partito da sole tre edizioni, non ha nulla da inviare ai festival più conosciuti in Italia.
Tra l’altro il tema è il ‘futuro’. E se il futuro riparte da qui ben venga.