Si potrà vedere ancora fino al 9 giugno, alla Casa dei Carraresi di Treviso, la mostra di “Inge Morath. La vita. La fotografia”.
Si tratta della prima retrospettiva in Italia di questa fotografa austriaca (27 maggio 1923 – 30 gennaio 2002), divenuta una delle prime protagoniste fotografe della nota Agenzia fotografica Magnum, fondata da Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert nel 1947.
Esposte a Treviso 190 immagini che ripercorrono la sua vita e la sua professione.
Se non conoscete il suo lavoro di certo questa è una mostra da vedere, come ci racconta il curatore Marco Minuz in questa intervista.
Per la prima volta in Italia una retrospettiva dedicata a Inge Morath. Com’è suddivisa la mostra e come avete – insieme ai curatori Brigitte Blüml – Kaindl, Kurt Kaindl – costruito questa retrospettiva?
La mostra si organizza in due momenti ben precisi. La prima sezione cerca di dare spiegazione di tutta la vicenda umana estremamente interessante, affascinante che ha caratterizzato la vita di questa donna ed una seconda sezione in cui si va ad analizzare i principali lavori dell’autrice. Due momenti, che si inseriscono in un metaforico cerchio dove la fotografia si apre e si chiude in uno stesso percorso. In 190 immagini circa, c’è la possibilità di fare un ottimo approfondimento su questa fotografa.
Inge Morath prima di diventare fotografa professionista è stata giornalista e ha anche scritto per le immagini di Hans Haas. Che significato aveva per l’autrice, la fotografia?
Per lei la fotografia è stata una scoperta graduale. Morath ha frequentato Hans Haas, fotografo austriaco e lo ha accompagnato nel 1949 a Parigi per conoscere Robert Capa. Qui lui entrerà come membro della cooperativa Magnum ed è lì che lei inizia in quegli anni a collaborare come giornalista, come ricercatrice, come traduttrice in questa agenzia.
Ci saranno poi delle sue vicende personali che la allontaneranno da questo mondo, ma nel 1951, durante un viaggio a Venezia – in cui inizia un contatto molto forte anche con questo territorio – scopre che la fotografia forse può essere lo strumento perfetto per esprimere le sue idee, le sue necessità, le sue sensibilità.
Da questo viaggio, inizia un percorso entusiasmante però anche ricco di momenti difficili che la porteranno ad affermarsi come fotografa all’interno della agenzia Magnum Photos, che a quell’epoca era prevalentemente maschile e nel 1955 entra come membro a tutti gli effetti nella cooperativa Magnum.
A proposito dell’entrata in Magnum di Inge Morath come prima fotografa donna. Quali sono stati i requisiti che hanno portato i riferimenti dell’agenzia a scegliere la Morath?
Ci sono molti elementi da analizzare e forse non è possibile essere del tutto esaustivi. In prima battuta, all’epoca l’Agenzia Magnum aveva la necessità di trovare nuovi fotografi per dare un apertura internazionale.
Nel 1951, poi, in Magnum New York entra un’altra fotografa donna, Eve Arnold.
Ma il fatto probabilmente il più importante è che in Magnum non si entrava con “uno schiocco di dita”.
Inge Morath, infatti, si è conquistata il suo posto in modo graduale. Lei ha cercato di dimostrare il suo valore, di acquisire una certa credibilità rispetto a grandi nomi della fotografia come Robert Capa, David Seymour, George Rodger, Henri Cartier-Bresson.
Non è un caso che a seguito dell’interruzione del rapporto sentimentale con il suo primo marito, il giornalista Lionel Birch, decida di tornare a Parigi e di presentarsi in agenzia chiedendo di poter intraprendere il percorso da fotografa professionista.
All’epoca Capa intuisce che per lei è un pò troppo presto e decide di affiancarla come apprendista al più grande fotografo del ‘900, Henri Cartier-Bresson. La Morath ha avuto la fortuna di stare accanto a lui per parecchi mesi. Ha viaggiato, osservato come fotografava, visto come si muoveva e come maneggiava la macchina fotografica. Ha vissuto la fase di stampa, percepito la fase di ricerca: un tirocinio fondamentale che le è servito per far crescere la professionalità all’interno del suo lavoro.
Quali sono stati – secondo la tua ricerca – i maestri da cui Inge Morath si è fatta ispirare per costruire un suo stile fotografico?
Fondamentale è stata la vicinanza ad Henri Cartier-Bresson, tanto che questa sensibilità è visibile in alcune fotografie in mostra. Questo come composizione e come tentativo di cogliere il momento magico. Notiamo anche la lezione degli altri membri dell’Agenzia Magnum, della loro ricerca verso il desiderio di andare più vicino possibile alla verità, di andare in profondità nell’interesse dell’essere umano.
“La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore”. Qual’è il racconto fotografico della Morath che ti ha più appassionato/coinvolto?
Il lavoro che mi ha entusiasmato di più è un lavoro che lei ha dedicato ad una persona che stimava molto. Si tratta di uno dei più importanti disegnatori del secolo scorso, di origini rumene, che ha lavorato molti anni anche a Milano: Saul Steinberg.
All’epoca si era spostato anche lui a New York – precisamente nel 1940 a causa delle leggi razziali in Italia – per lavorare per dei celebri magazine illustrati americani. Inge Morath volle conoscerlo, si recò da lui, suonò il campanello di casa e Saul Steinberg si presentò con in testa una maschera di cartone dove erano riprodotte i tratti che identificavano il suo volto.
La Morath nel 1956 stava facendo un lavoro sulle maschere (metafora di tutte le maschere che noi durante la giornata e nella vita vestiamo o siamo costretti a vestire) e rimase talmente affascinata da lui che lavorarono a questo progetto insieme.
Nel percorso della mostra c’è una piccola selezione di questa collaborazione.
Senza pregiudizi, essendo la Morath una donna, c’è una qualità differente rispetto al sentire fotografico maschile?
Sicuramente guardando le fotografie ci si accorge, soprattutto in alcune, che c’è una lettura specifica della sensibilità femminile che si traduce in una sua visione personale, di come certi cliché vengono affrontati con una determinata emotività di genere.
Questo è, a mio parere, uno degli aspetti importanti del suo lavoro che si traspone in un modo completamente diverso di vedere rispetto ad altri fotografi.
Rispetto a questa mostra è disponibile anche un catalogo?
Il catalogo della mostra è in uscita e verrà presentato al Palazzo Ducale di Genova dove questa mostra continuerà a vivere dal 20 giugno fino al 22 settembre. Siamo molto onorati e contenti di questa possibilità. E’ la dimostrazione di come un progetto culturale a livello territoriale possa essere determinante anche a livello nazionale e favorire la creazione di partnership con le principali istituzioni museali e culturali nazionali.