Torna a Reggio Emilia Fotografia Europea. La XIV edizione – che quest anno avrà come tema ‘Legami‘ – si svolgerà dal 12 aprile al 9 giugno 2019 con mostre, conferenze, spettacoli e workshop.
Horst P. Horst a Palazzo Magnani
Iniziamo da Palazzo Magnani che quest anno ospita la mostra del fotografo tedesco, naturalizzato americano Horst P. Horst (1906-1999).
120 fotografie del maestro di stile, noto per la raffinata eleganza con cui crea le sue immagini. In mostra foto famose come l’Odalisca; gli scatti realizzati per Vogue e Harper’s Bazaar (che dagli anni Trenta agli anni Cinquanta lo anno piazzato tra i nomi top della fotografia di moda) ma anche i ritratti della comunità artistica parigina degli anni Trenta, una vera e propria galleria di celebrità intellettuali, da Jean Cocteau a Salvador Dalì. Esposte poi fotografie a colori, recentemente poste sotto una nuova luce dalla grande mostra antologica dedicatagli dal Victoria & Albert Museum di Londra nel 2015.
La mostra, a cura di Walter Guadagnini, è realizzata in collaborazione con la galleria Paci contemporary di Brescia.
Larry Fink a Palazzo Mosto
Al grande maestro della fotografia americana Larry Fink è dedicata l’ampia antologica ‘Unbridled Curiosity‘. 90 fotografie, realizzate tra gli anni Sessanta ad oggi, in mostra a Palazzo Mosto.
La selezione di scatti, rigorosamente in bianco e nero, mira a evidenziare quei legami tra le persone e tra le persone e i luoghi che Fink, nel corso di tutta la sua carriera, ha saputo immortalare con occhio attento e “sfrenata curiosità”, mischiandosi ai contesti, rubando momenti di intimità e mettendo in evidenza l’anima dei soggetti ritratti. Le grandi battaglie civili, i party esclusivi tra Hollywood e i grandi musei, la vita rurale, le palestre pugilistiche.
Michele Nastasi a Palazzo Mosto
Sempre a Palazzo da Mosto anche ‘Arabian Transfer‘ di Michele Nastasi. Una mostra che mette in luce la condizione transitoria di sei città della Penisola Araba (Abu Dhabi, Doha, Dubai, Kuwait City, Manama, Riyadh) rappresentandole come territori di approdo di uomini e culture.
Negli ultimi decenni questi luoghi sono apparsi come mondi nuovi, nuovi epicentri globali resi possibili dall’attuale ipermobilità di persone e immagini, beni e finanze; essendo per lo più popolate (ed edificate) da immigrati di tutto il mondo, essi sono oggi un laboratorio vivente in cui le aspirazioni identitarie locali si confrontano con i modelli occidentali e con le culture di provenienza degli abitanti.
Vincenzo Castella alla Sinagoga
Alla Sinagoga, Vincenzo Castella, maestro della fotografica italiana, espone il suo progetto più recente ‘Urban Screens’. Si tratta di labirintica visione di una vegetazione al contempo addomesticata e inconoscibile, riflessione sul rapporto dell’uomo contemporaneo con l’elemento naturale.
Fotografie di grande formato (cm 180 x 226) accolgono lo spettatore lungo le pareti dell’edificio, creando uno spazio straniato, dove la fotografia rivela una riflessione sulle forme della rappresentazione, sulle ideologie e sulle iconografie.
Al centro, due schermi presentano un ulteriore evoluzione del processo visivo, che letteralmente si muove tra le superfici e le piante: un universo naturale addomesticato, che attraverso la fotografia trova una sua forma di disordinata bellezza.
Il Giappone ai Chiostri di San Pietro
Dopo i lavori di restauro, i Chiostri di San Pietro tornano a essere il fulcro attorno cui ruota il festival reggiano. E, per l’occasione, si vestono d’Oriente.
Il Giappone, paese ospite di Fotografia Europea 2019, sarà infatti presentato da diverse voci: sia quelle di giovani fotografi giapponesi che rappresentano al meglio le nuove tendenze di una scuola fotografica tra le più significative della contemporaneità (Kenta Cobayashi, Motoyuki Daifu e Ryuichi Ishikawa), sia dal racconto di artisti europei (Justine Emard, Vittorio Mortarotti e Anush Hamzehian, Pierfrancesco Celada), che asiatici (Pixy Liao).
L’idea che guida la mostra di Kenta Cobayashi, curata da Francesco Zanot, è che l’immagine fotografica sia tutt’altro che invariabile, come si riteneva fino a poco tempo fa, ma che dia vita a un universo instabile e mutevole. Ogni immagine, attraverso l’uso dei software di manipolazione digitale, può facilmente dare vita a una serie infinita di rappresentazioni. L’obiettivo è quello di ottenere un effetto straniante e di utilizzare la fotografia come una sorta di “portale”.
Immagini inedite e cult
Dal canto suo, Motoyuki Daifu presenterà una serie di 20 immagini inedite della sua ironica serie Holy onion, che ritrae la madre nell’atto di sbucciare una cipolla all’interno di una cucina, assegnando così un valore iconico a un atto apparentemente banale e quotidiano.
Ryuichi Ishikawa, stella nascente nel firmamento della fotografia giapponese, ritrae persone borderline, come Mitsugu che diventa per Ishikawa emblema di quelle storie riguardanti il benessere e il sesso nella società, nella storia e nella cultura di Okinawa, nella quale si ritrova il conflitto tra la bellezza universale della vita e la società creata dagli esseri umani.
A questi, si aggiunge la cinese Pixy Liao – segnalata da Federica Chiocchetti – autentica rivelazione dell’ultima stagione della fotografia mondiale, la cui ricerca si intreccia perfettamente con quella degli altri autori, sia per generazione che per clima culturale.
Per Reggio Emilia, Pixy Liao presenta, per la prima volta in Italia, il suo progetto Experimental Relationship (2007 to now), che racconta il suo legame con Moro, un ragazzo giapponese di 5 anni più giovane di lei, attraverso la messa in scena di numerose situazioni, create esibendosi davanti alla telecamera. Le foto esplorano le possibilità alternative delle relazioni eterosessuali.
Un rapporto ribaltato, dove l’uomo e la donna si scambiano il loro ruolo di sesso e potere.
Rapporti e comunità
L’affinità generazionale e tematica, nonché l’esplicita collocazione geografica delle sue opere, create e ambientate proprio in Giappone, rende anche Justine Emard parte di questa ideale collettiva diffusa sul tema dei rapporti tra le persone e tra le comunità. Il lavoro dell’artista francese ruota attorno all’alterità delle macchine. La serie La notte dei tempi, a un primo sguardo, oscilla tra i poli opposti di tecnologia e spiritualità. Installazioni video e fotografie costruiscono un ponte tra l’intelligenza artificiale e quella umana, in una rappresentazione poetica e coinvolgente, sicuramente tra le espressioni più peculiari e emozionanti della ricerca artistica contemporanea.
Piefrancesco Celada, dal canto suo, con I wish I knew your name, Japan (a cura di Renata Ferri), si concentra sulla megalopoli Tokyo-Nagoya-Osaka, chiamata anche Taiheiyō Belt, un esempio unico di agglomerazione urbana con una popolazione stimata di oltre 80 milioni di persone. Nonostante questo numero incredibilmente alto di possibilità di interagire, sembra che la società si stia muovendo nella direzione opposta.
In attesa del nuovo progetto, Vittorio Mortarotti propone The first day of good weather, che ricorda il comando che il Presidente degli Stati Uniti Harry Truman diede per il lancio della bomba atomica su Hiroshima, che sarebbe avvenuto nel momento in cui si fosse presentata una condizione di bel tempo. Parte da qui un racconto fotografico che nasce da una perdita personale, quella del fratello, di cui l’artista cerca le tracce fino in Giappone, e diventa esplorazione fisica e metaforica tra quello che rimane (macerie, rottami, oggetti trovati) e quelli che rimangono (i sopravvissuti).
Sempre ai Chiostri di San Pietro si presenta la commissione dello scorso anno assegnata a Francesco Jodice sul tema 2018 Rivoluzioni. Ribellioni, cambiamenti, utopie. Il fotografo ha lavorato sul concetto di circolarità della storia realizzando un progetto video, Rivoluzioni, che parte da un fatto realmente accaduto: l’ultimo messaggio inviato dalla sonda cinese Kaiju 2 prima di scomparire all’interno di un buco nero. Nel 1989 infatti l’agenzia spaziale cinese lancia segretamente una sonda per raggiungere il cosiddetto Orizzonte degli Eventi, ovvero il bordo di un buco nero, la soglia dove il tempo si ferma, la luce si spegne e tutta la materia collassa, con l’intento di vedere cosa c’è dall’altra parte. Il film saprà colpire lo spettatore per un sapiente gioco di rimandi tra realtà e finzione cinematografica, unito ad un utilizzo inedito e sorprendente del colore.
Altra produzione inedita del festival è il progetto che nasce dall’incontro tra le fotografie di Jacopo Benassi e la danza di due interpreti straordinari – uno abile e l’altro disabile. Il punto di arrivo, contro ogni sfumatura patetica o emozionale, è la possibilità di affermare una gamma più ampia di virtuosismi, dentro e fuori i canoni riconosciuti.
Il francese Samuel Gratacap, uno dei protagonisti della fotografia documentaria contemporanea europea, porterà ai Chiostri di San Pietro il suo progetto sulle migrazioni Fifty-Fifty, realizzato nel 2014 in Libia, sul confine tunisino, dove ha incontrato coloro che vivono a metà – ‘cinquanta-cinquanta’ – tra la vita o la morte. La mostra affronterà il tema del festival da un punto di vista esplicitamente sociale, politico, aprendo a ulteriori possibili letture.
Alla scoperta dei luoghi segreti della città
La manifestazione offre la possibilità ai visitatori di conoscere luoghi inediti della città, difficilmente aperti al pubblico.
Grazie alla collaborazione con la Fondazione I Teatri quest’anno, saranno i Sotterranei a trasformarsi in spazio museale, accogliendo le mostre degli altri due artisti selezionati attraverso la open call: l’artista finlandese Jaakko Kahilaniemi e la fotografa franco-armena Lucie Khahoutian.
Con 100 hectares of understanding, Jaakko Kahilaniemi ha creato un avvincente progetto concettuale che approfondisce la composizione e il significato di un’area boschiva selvaggia in Finlandia, mentre con The Tapestry in my room, Lucie Khahoutian illustra la costante dicotomia della sua visione del mondo, orchestrando un confronto tra Armenia e Francia e mescolando i codici visivi armeni tradizionali con un ambiente più europeo e occidentale.
Allo Spazio Scapinelli verrà celebrata la storia di una importante realtà sportiva della città: la squadra di calcio Reggiana che nel 2019 festeggia cento anni di storia.
Alla Chiesa di San Nicolò e al Battistero, Giovanni Chiaramonte racconterà il suo viaggio Verso Gerusalemme. Un itinerario alla ricerca del proprio destino, dalla tomba della madre, passando nelle città e nei luoghi in cui ha preso forma e figura la storia dell’Occidente: Atene, Roma, Berlino, nelle rovine lasciate dai totalitarismi e dalle guerre del XX secolo, che hanno avuto epilogo nell’Olocausto, testimoniato nel memoriale di Miami.
Tra podcast e immagini. La mostra allo Spazio Gerra
Allo Spazio Gerra si tiene ‘Confessioni. Canzoni Vissute‘ definita come una mostra tra podcast e immagine. Confessare un sentimento, esprimerlo per liberarsene o cercare le parole per interpretarlo. Questo è ciò che la canzone ha saputo fare meglio di qualsiasi altra espressione artistica, diventando il principale strumento di identificazione popolare. Tra il 1970 e il 1975 una decina di grandi interpreti femminili hanno dominato la scena televisiva e discografica con interpretazioni talmente intense e sincere da abbattere i confini fra performance e vita reale.
Una mostra da ascoltare, oltre che da guardare, con le fotografie d’epoca delle Teche RAI e due nuovi lavori fotografici di Giulia Bersani e Alessia Leporati che si interrogano su quanto una non filtrata confessione di sé possa diventare elemento di sovversione. Ad impreziosire il percorso, le effluviazioni di Silvana Casoli.
Premio giovani e omaggio alla città
Ai Chiostri di San Domenico, la mostra Ropes/Corde presenta le fotografie dei sette vincitori – Fabrizio Albertini, Silvia Bigi, Emanuele Camerini, Marta Giaccone, Luca Marianaccio, Iacopo Pasqui, Jacopo Valentini – della call di Giovane Fotografia Italiana, progetto dedicato ad artisti italiani under 35.
Infine, alla Biblioteca Panizzi, la rassegna Famiglie – Un mondo di relazioni rivisiterà con sguardo attento e inusuale i fondi fotografici delle famiglie reggiane.
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