LECCE. Prendono il via a Lecce i viaggi fotogastronomici di “A Fuoco Lento”, la nuova rassegna ideata dall’associazione Positivo Diretto in collaborazione con la Galleria Francesco Foresta.
Tra mostre e racconti di sapori fotogastronomici per una nuova rassegna che dal 18 al 26 ottobre sarà realizzata presso gli spazi della galleria Francesco Foresta (a Lecce, in via Federico d’Aragona 1). Concepita sul tema portante di Expo2015, “Nutrire il pianeta”, la rassegna si propone di creare momenti di riflessione sul cibo e l’alimentazione generati da quattro diverse esposizioni di artisti visuali emergenti, incentrate sul binomio cibo, quale fonte di nutrimento e mezzo di espressione, e fotografia, come specchio fatato e costante tentativo di ri-scrittura del reale. E “lento” è il viaggio intrapreso per il guardare, l’osservare, il mettere a ‘fuoco’, con l’occhio o l’obiettivo di una macchina fotografica.
Lo sguardo dei quattro artisti s’incontra felicemente sul tema di tempo e fuoco in un mix emozionante d’immagini e racconti metafisici: Francesco Biasi indaga una dimensione del cibo preziosamente trasversale, che sia necessità o piacere, socialità o consumo compulsivo, il cibo non riguarda solo il corpo ma anche l’anima e il modo in cui le comunità si dispongono al fare, al vivere il proprio tempo; Carmen Mitrotta ci porta nel mondo sospeso delle sue “sculture” visuali, il concetto del cibo si trasforma qui in un unico interessante esercizio di percezione, tra forme, colori e rimandi; Gioa Perrone si muove in uno slalom di spunti che giocano a mettere in campo alcune parti del proprio corpo e della propria sfera privata ed emotiva, in sintonia con le forme e i messaggi di cui elementi legati al cibo sono intrisi; Francesca Fiorella, che ripone per un attimo l’anima di reporter, gioca con quello che si è recentemente definito “food-porn”, termine che identifica un reiterato e consolidato comportamento sociale che si espleta nella realizzazione e condivisione ‘social’, di immagini di cibi pronti per essere mangiati.
Carmen Mitrotta, DEATH FOODS FOR NEW WORLDS, 2013
Le libagioni della Mitrotta sono sculture che l’immaginazione assapora, un gusto che filtra dallo sguardo e si adagia inesorabile molto in fondo, dietro all’iride, in un cantuccio caotico e fluido, ricco di esperienze pop, film cult, pittura, pubblicità. Quello che è certo è che qualcosa si accende e ci attraversa in modo sensuale. Le sculture fotografiche, fatte non solo con pezzi di cibo, ma anche con concetti e nature legati alla su-realtà del mezzo fotografico, trasformano il soggetto in questione, il cibo appunto, in una “possibilità aperta” di nutrimento e di sapore, come l’immagine fotografica trasforma la realtà in “possibilità aperta” di sguardo. Il cibo di Mitrotta ha più che mai anima e nuovo nome, ha una lingua e una voce che dialoga con l’immaginario collettivo, prendono piede e si stagliano creature che vogliono essere guardate, a volte innocue a volte subdole che magari ci guardano e già sognano di mangiarci…
Carmen Mitrotta è nata a Grottaglie (Ta) il 4 maggio 1987, vive e lavora a Milano. Da sempre interessata alle arti visive, si laurea nel 2010 presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce cominciando a dedicarsi alla pittura, che però presto abbandona per rivolgersi alla fotografia dopo la partecipazione al programma Erasmus che la porta a conoscere l’Europa dell’Est.
Sceglie così di trasferirsi a Milano dove prosegue la sua formazione iscrivendosi al Corso superiore professionale dell’Istituto Italiano di Fotografia. Attraversando l’autoritratto, la sperimentazione, il lavoro in camera oscura, arriva a elaborare una sintesi che, legata al design delle forme e del colore, diventa soprattutto nello still-life caratteristica e filo conduttore della sua poetica. Al lavoro professionale accosta una intensa ricerca espressiva che la porta a vincere, nel settembre 2013, il concorso CONFINI 11 iniziando così ad esporre in mostre collettive e personali.
Francesco Biasi, FOODIES, 2013
La famiglia, la strada, il fast food, il ristorante, il ricevimento, il lavoro, la solitudine dell’uomo e quella dell’animale, il cibo nel lavoro di Biasi è un’indagine preziosamente trasversale. Che sia necessità o piacere, socialità o consumo compulsivo, il cibo di Biasi non riguarda solo il corpo, ma anche l’anima e il modo in cui le comunità si dispongono al fare, a vivere il proprio tempo. Il progetto, che l’autore definisce in fieri, getta uno sguardo ambiziosamente esaustivo e ricco, pregno di sfumature e rimandi ai grandi sguardi della storia del mezzo e pure così carico di una poetica originale, che si sviluppa attraverso una scelta di tagli intimi e scrutanti, le vedute desolanti di luoghi dove il cibo si produce, si cucina o si vende, e soprattutto la scelta e lo sviluppo sapiente della rappresentazione del cibo durante la sua “socialità”. Lo sguardo di Biasi si aggira con fare oggettivo dentro e fuori le strade del cibo, ma ciò che ci restituisce è la sua passeggiata dentro e fuori i momenti più vivi e fondanti del quotidiano di chi incontra.
Francesco Biasi è nato a Verona il 18 luglio 1976. Si affaccia alla fotografia dopo gli studi in economia, frequentando il Master triennale alla Scuola Romana di Fotografia classe 2013. Attualmente parte dell’ Accademy dell’agenza Luz a Milano, è membro del Collettivo Domino con il quale ha partecipato al Sifest 2014 OFF con il progetto Gone to the dogs.
Gioia Perrone, SPRING&HANDS, 2013
La poetica di Gioia Perrone, artista visuale multisfaccettata e caotica si incentra su un racconto privato che sfocia spesso in un legame profondo con un immaginario che è collettivo e che riguarda tematiche come identità e processi di costruzione di memoria privata e comune. Il progetto nasce come un gioco in linea con una certa abitudine a utilizzare alcune tracce del quotidiano, oggetti suggestivi ritrovati in casa e riciclati. La mano sinistra aperta mostra nel suo palmo di volta in volta un oggetto-amuleto, che ha attirato la sua attenzione e che fulmineamente si è mostrato ai suoi occhi come simbolo di una sensazione o di uno stato d’animo privato, ma che probabilmente si può estendere alla collettività. Ogni “mano” aperta è a mostrare ciò che sta nel palmo, dunque un dono, un invito, una porta verso qualcos’altro. La Perrone si muove in uno slalom di spunti che giocano a mettere in campo alcune parti del proprio corpo e della propria sfera privata ed emotiva in sintonia con le forme e i messaggi di cui elementi legati al cibo sono intrisi.
Gioia Perrone (1984) vive e lavora nel Salento. Ha studiato comunicazione, ma la sua sperimentazione artistica inizia precocemente slegandosi da percorsi istituzionali. Dal 2005 si dedica a poesia, comunicazione scrittura creativa, cultura fotografica, in un costante percorso di auto-formazione. Legata preminentemente a un approccio concettuale del mezzo fotografico, lo pratica e ne studia gli aspetti teorici e gli usi sociali, indagando e interessandosi soprattutto al legame con la memoria e l’identità personale e collettiva. I suoi scritti poetici, in parte raccolti nel libro “Il ritorno dell’Ofisauro” (Icaro 2008) rientrano nella mescolanza di codici ed esperimenti che ama portare avanti, come le relazioni nate spesso sul web con altri artisti visivi.
Francesca Fiorella, THE INSTANT BEFORE, 2014
“Foodporn” è un neologismo che identifica un reiterato e consolidato comportamento sociale che si espleta nella realizzazione e condivisione sui social, di immagini di cibi appena pronti per essere mangiati. Questo apparente e compulsivo atto sta di fatto cambiando su larga scala le regole del mangiare, anteponendo nel rapporto col cibo il senso della vista in un gioco a metà tra vanità e voyeurismo. Quasi come se il senso di trasmissione visiva di quel momento appena precedente la degustazione, in cui risiedono sinestesie puramente tattili, olfattive e gustative, fosse una necessaria sintesi tra un narcisistico compiacimento e una definitiva divulgazione di gioia. Il foodporn quindi è pulsione all’ostentazione della bellezza e insieme amore per il cibo, e Francesca Fiorella, anima da reporter, non si esime dal giocare con questa formula divenuta ormai status. La partita si svolge come sempre su un linguaggio a sé, totalmente autonomo, un linguaggio dai codici estetici ben precisi, fatto di filtri e colorazioni virtuali contemporanee, e lo sfondo è la vita che scorre, è l’esperienza e il godimento personale.
Francesca M. Fiorella, nasce a Lecce nel 1987. Laureata in Scienze Politiche nel 2012, si avvicina alla fotografia nel 2009. Dopo aver frequentato la scuola di fotografia Foto Scuola Lecce e diversi workshop con fotografi di fama internazionale, si indirizza verso la fotografia documentaristica, sviluppando nel 2012 il lavoro “Welc(h)ome”, sull’esigenza di far luce sulla condizione abitativa dei migranti che vivono a Lecce. Attualmente sta portando avanti il progetto “Dreaming out of my camp”, che coinvolge i ragazzi della comunità rom di Lecce.