Giunta alla terza edizione, la Biennale della Fotografia Femminile di Mantova per il 2024 si trasformerà per un mese in una vetrina internazionale per importanti artiste, a volte poco conosciute nel nostro Paese.
BFFmantova proseguirà fino al 14 aprile. L’evento, organizzato dall’associazione La Papessa (con il patrocinio della Regione Lombardia, del Comune di Mantova, Fondazione Cariplo e il sostegno di Fujifilm Italia), vede nuovamente alla direzione artistica Alessia Locatelli.
Private: ecco il tema della Biennale della Fotografia Femminile di Mantova 2024
Il tema dell’edizione 2024 della Biennale della Fotografia Femminile di Mantova 2024 è Private. Un termine che racchiude in sé vari significati intriganti quanto attuali, declinato in più modi. Può essere inteso come riferimento alla vita privata, al tema della privacy nella sua definizione di “cosa è pubblico e cosa è privato”, nel mondo fisico e nei social network. Si rapporta al concetto di censura, al mondo del web e della condivisione virtuale. Contempla la realtà della post-fotografia e della sorveglianza nello spazio pubblico attraverso le telecamere; così come la definizione di spazio pubblico/privato, tra reale e virtuale.
Vi è, inoltre, una visione che identifica il tema del privato in contrapposizione al pubblico, sulla traccia della definizione di privato: “Che non è pubblico, in quanto è riservato a una sola persona o a una ristretta cerchia di persone” (Fonte: Enciclopedia Treccani). Ed ecco che viene affrontata la questione delle carceri, della privazione di identità, di cultura e linguaggio, nonché il tema attuale della gentrificazione e della scelta in autonomia del ritiro e dell’esclusione dalla società in comunità autogestite.
Una particolare attenzione è dedicata anche al rapporto difficile con la natura e l’ecologia declinato nell’indagine sulla privatizzazione servizi, dell’ambiente, delle fonti d’acqua e le ricadute nella crisi idrica ed energetica attuale.
Lo stesso termine nella lingua italiana identifica un senso di privazione, di sottrazione, declinato al plurale femminile. Crediamo nello sguardo intimo che possa raccontare la sfera affettiva e il sempre più complesso rapporto tra l’immagine personale e pubblica.
Del resto da sempre BFFmantova si muove su argomenti che riguardano problematiche di carattere sociale e geopolitico: l’istruzione, il classismo, gli effetti della migrazione che si trovano nella privazione delle terre, dell’economia, delle libertà civili e nel neo-colonialismo.
Le mostre 2024 di BFFmantova
L’edizione 2024 propone mostre di fotografe italiane e internazionali, dislocate in diversi punti della città:
- Palazzo Te Tinelli
- Casa di Rigoletto
- Casa del Mantegna
- Galleria Disegno
- Spazio Arrivabene2
- Casa del Pittore
Vediamole una per una.
Cammie Toloui, The Lusty Lady Series
All’inizio degli anni 90’ Cammie Toloui era una giovane studentessa di fotogiornalismo a San Francisco dallo spirito punk e ribelle. Mossa anche dalla necessità di pagarsi gli studi, Cammie fece una scelta molto radicale divenendo una spogliarellista del Lusty Lady Theatre. Il locale era un unicum all’epoca, in quanto interamente gestito da donne e garantiva sicurezza sul lavoro alle sex workers. Quando all’università le venne assegnato un progetto di documentazione sulla propria vita, la fotografa decise di raccontare il mondo del sex work, osservato dal punto di vista di una lavoratrice.
Gli avventori potevano pagare 5 dollari ogni 3 minuti per assistere a performance erotiche e sessuali su richiesta – dietro ad un vetro – nell’area dei “Private Pleasures”. Una reciproca fascinazione, le ha permesso di fotografare gli avventori durante questo scambio così privato, in un dialogo doppio che implica il concetto di intimità, tra privacy e voyeurismo. Come lei stessa scrive: “Nel corso degli anni successivi, sono stata spinta a documentare questo radicale cambiamento nell’equilibrio di potere. I loro soldi gli davano il diritto di guardarmi: la macchina fotografica che avevo in mano mi dava il potere di guardare loro”.
📌 Dove vedere la mostra: Casa del Pittore, 10 – 13 e 15 – 19, sabato e domenica
Photo Requests from Solitary
Photo Requests from Solitary (PRFS) è un progetto partecipativo che invita le persone detenute in regime di isolamento a lungo termine nelle carceri statunitensi a richiedere una fotografia su vari soggetti – reali o immaginari – e trovare un volontario che la realizzi. La variegata gamma di richieste e la loro realizzazione, fornisce un archivio delle speranze, dei ricordi e degli interessi di persone che vivono in un regime di privazione totale della libertà.
Ogni giorno, almeno 80mila persone sono detenute in isolamento negli Stati Uniti in condizioni portatrici di danni psicologici e fisiologici profondi e duraturi, già denunciate dalle Nazioni Unite come torture. PRFS è anche un progetto di “educazione pubblica sulla detenzione in isolamento” e sostiene campagne contro una tale prassi, offrendo al pubblico un collegamento diretto con i carcerati, attraverso una collaborazione artistica che riconosce la creatività e l’umanità condivise, da entrambi i lati delle mura del carcere.
📌 Dove vedere la mostra: Casa di Rigoletto, 9 – 18, sabato e domenica
Thandiwe Muriu, Camo
Il lavoro di Thandiwe Muriu crea illusioni surreali di pura fotografia che non sono frutto di manipolazione digitale. In un mix tra tessuti unici e pratiche culturali, l’artista si confronta con i temi dell’identità e della ridefinizione dell’empatia femminile nel contemporaneo, attraverso l’applicazione di texture Afro e oggetti di uso comune.
Reimmagina ritratti associati alla vita quotidiana del Kenya realizzati con audaci accessori indossati dai suoi soggetti, per ridiscutere il concetto di bellezza, finalmente dal punto di vista africano. Lavorando con l’ankara – simbolo del tessuto introdotto dai mercanti olandesi del XIX secolo di provenienza indonesiana – Muriu fotografa i suoi soggetti fondendoli con l’ambiente che li circonda.
Un lavoro colorato e riflessivo che, attraverso il camouflage, fa emergere i volti dalle stoffe riflettendo sul concetto del forzato ritiro nell’ambito privato, presentando così una nuova e audace visione della donna africana e della sua autonomia.
📌 Dove vedere la mostra: Galleria Disegno, 10 – 13 e 15 – 19, sabato e domenica
Tamara Merino, Underland
Dai rifugiati climatici ai voraci minatori, dalle sette dell’apocalisse, alle comunità indigene abbandonate, 60 milioni di persone nel mondo vivono oggi in ambienti sotterranei. La scelta di una vita di esclusione risponde a bisogni basilari in gran parte persi di vista nelle nostre società tecnologiche e veloci. Come un ritorno al “mito di natura”, troviamo scatti ad esseri umani in ambienti che hanno rappresentato un riparo sicuro prima che si iniziasse a creare rifugi e costruire abitazioni. Le nuove sfide del mondo moderno hanno condotto alcune persone a ritrovare sottoterra un alloggio stabile e sicuro.
Tamara Merino ha documentato tale situazione vivendo con alcune comunità che si sono private della tecnologia e del comfort in Australia, Spagna e USA. In molti casi, gli esseri umani che hanno optato consapevolmente per una esclusione dalla società stanno trovando nella vita sotterranea un’alternativa efficiente dal punto di vista energetico e sostenibile rispetto alle abitazioni convenzionali.
📌 Dove vedere la mostra: Galleria Disegno, 10 – 13 e 15 – 19, sabato e domenica
Luisa Dörr, Imilla
Le polleras boliviane, gonne ingombranti comunemente associate alle donne indigene degli altipiani, sono state per decenni un simbolo di unicità ma anche oggetto di discriminazione. Ora una nuova generazione di donne che praticano lo skateboard a Cochabamba, le indossa come un emblema di resistenza.
Se l’indumento fu inizialmente imposto dai colonizzatori spagnoli alla popolazione nativa, nel corso dei secoli si è integrato nell’identità locale, come simbolo ambivalente di autenticità e stigmatizzazione. Riscoprire le polleras negli armadi di zie e nonne, è sembrata la scelta più ovvia per Dani Santiváñez, una giovane skater boliviana che – nel desiderio di recuperare le sue radici ha creato nel 2019 “ImillaSkate”.
“Imilla” significa giovane ragazza in Aymara e Quechua: le due lingue più parlate in Bolivia, un paese in cui più della metà della popolazione ha radici indigene. Le nove donne che attualmente fanno parte del gruppo indossano le polleras solo per andare in skate. Abbinate a scarpe da ginnastica, queste gonne simboleggiano la scelta di non privarsi della loro cultura e, attraverso questa pratica, veicolano così il loro messaggio di inclusione e accettazione della diversità.
📌 Dove vedere la mostra: Casa del Mantegna, 10 – 18:30, sabato e domenica
Claudia Ruiz Gustafson, La ciudad en las nubes
Tra il 1911 e il 1915 il Perù fu oggetto di esplorazioni di carattere coloniale, inclusa quella operata dallo storico di Yale, Hiram Bingham. Finanziato dall’Università e dal National Geographic, Bingham si imbattè nel sito di Machu Picchu, diventando noto come il grande “scopritore” di questo luogo.
Partendo dalle fotografie scattate durante un viaggio sui Caminos del Inca e affiancando documenti d’archivio, Claudia Ruiz Gustafson mette in discussione il concetto di “scoperta” di Machu Picchu e della sua narrazione storica. La storiografia occidentale ha di fatto sottratto il diritto del riconoscimento di quei territori a chi li abitava – saccheggiando tombe sacre della comunità Quechua – in nome della ricerca scientifica. Nel corso delle sue spedizioni, Bingham scattò 12mila fotografie, pubblicate su Harper’s e National Geographic – che ne deteneva i diritti esclusivi. Fu così che Machu Picchu smise di essere eredità culturale dei Quetchua.
La Ciudad en las Nubes desidera mostrare come queste esplorazioni hanno contribuito, a volte in modo negativo, alla creazione e diffusione dell’immaginario peruviano da un punto di vista etnografico, in occidente.
📌 Dove vedere la mostra: Spazio Arrivabene 2, 10 – 13 e 15 – 19, sabato e domenica
Daria Addabbo, Drought. No water in the Owens Valley
Un terzo dell’acqua utilizzata da Los Angeles proviene dalla Owens Valley: un tratto di deserto e prateria delimitato dalla Sierra Nevada ad Ovest e dalle White Mountains a Est. È qui che, un centinaio di anni fa, Los Angeles ha acquistato circa 120mila ettari di terreno, ottenendo così diritti d’uso dell’acqua sul fiume Owens. Successivamente, la città è stata in grado di trasformarsi da un sonnolento villaggio di 15mila abitanti alla Metropoli che conosciamo oggi. All’inizio del 1900, Fred Eaton – allora sindaco – e l’ingegnere irlandese Mulholland concordarono sull’importanza del sistema idrico per il futuro sviluppo della città.
Fu così che la deviazione dell’acqua dal lago – a favore della privatizzazione dell’acquedotto – ha generato un disastro ambientale di vaste proporzioni. I venti oggi sferzano la valle dalle montagne, spazzando via dal letto del lago solfati e particelle tossiche che creano tempeste di polvere pericolose per la cittadinanza. Inoltre, il cambiamento climatico e la conseguente crisi idrica stanno rendendo sempre più grave la siccità in California minacciando la vita delle comunità che vivono nella valle.
📌 Dove vedere la mostra: Galleria Disegno, 10 – 13 e 15 – 19, sabato e domenica
Esther Hovers, False Positives
I sistemi di sorveglianza intelligente sono costituiti da telecamere in grado di rilevare i segni nel linguaggio del corpo e nei movimenti che potrebbero indicare una “intenzione criminale”. Gesti inconsueti che – all’interno di uno spazio pubblico – vengono segnalati come “anomalie”. Mappando tali anomalie, si strutturano gli algoritmi che orientano le telecamere in grado di rilevare i comportamenti devianti.
False Positives esamina come i sistemi di sorveglianza studiano il nostro comportamento, sollevando la questione dell’accettabilità delle “classificazioni”, nonché della tutela della privacy negli spazi condivisi. La ricerca di Esther Hovers si struttura sulle “8 anomalie”, segnalate dagli esperti di sorveglianza intelligente con i quali ha collaborato. Il progetto unisce fotografie e disegni di modelli al fine di fornire un’analisi all’interno e intorno al quartiere degli affari della città di Bruxelles.
📌 Dove vedere la mostra: Tinelli di Palazzo Te, 10 – 13 e 15 – 18:30, sabato e domenica
Kiana Hayeri, Where prison is a kind of freedom
“L’Afghanistan è un paese di estremi”, cita la fotografa. E così è la vita delle donne di questa storia. Intrappolate in matrimoni che le rendono vittime di vessazioni, si sono trovate a considerare l’uxoricidio come unica via di sopravvivenza.
Fino al 2021 erano 119 le carcerate della prigione di Herat, dove Kiana Hayeri ha trascorso due settimane, entrando in profondo contatto con alcune di loro. Se da un lato il loro crimine le ha condannate alla privazione di libertà, dall’altro ha offerto loro un’altra vita. La prigionia è diventata una “seconda opportunità”, seppur contornata da quel filo spinato che serve tanto a tenere rinchiuse loro, quanto a proteggerle da possibili desideri di vendetta da parte delle famiglie dei mariti. In un cortocircuito morale la comunità di detenute ha trovato – seppur in celle sovraffollate – uno spiraglio di pace e tranquillità per loro ed i figli minorenni, all’insegna della collaborazione e del mutuo aiuto. Poco prima del ritorno dei talebani al potere, le detenute sono state liberate e attualmente le prigioniere del centro di detenzione vivono in condizioni di abuso e privazioni ben lontane dalla sicurezza degli anni passati.
📌 Dove vedere la mostra: Casa di Rigoletto, 9 – 18, venerdì sabato e domenica
Newsha Tavakolian, And they laughed at me
Newsha Tavakolian è una fotografa iraniana, fa parte dell’agenzia Magnum dal 2019. Ha detto: “Gli eventi in Iran mi hanno colpita profondamente. Sapendo di non poter cambiare il passato, e mossa da un desiderio di vedere in profondità, ho ripreso in mano i negativi che ho scattato all’inizio della mia attività fotografica. Un’immagine spiccava su tutte: una ragazza che annusa una rosa. Il suo profumo è un simbolo di speranza, d’amore e di libertà. Ho scelto di proposito una sequenza di negativi nati da errori miei o di altri, in laboratorio o per un malfunzionamento della mia macchina fotografica.
Ho raccolto queste immagini scartate: mostrano quella realtà cruda e grezza da cui non possiamo nasconderci. Riosservandole, emerge un chiaro passaggio: dalla speranza e dai sogni della giovinezza, alla deludente realtà e la conclusione che nella vita abbiamo una sola scelta. Venire risucchiati dall’oscurità, oppure combatterla andando verso la luce. Il risveglio delle donne Iraniane non è successo in un giorno: l’ho visto, ne ero parte. Volevamo di più, e presto. I politici mi hanno sfruttata e hanno riso di me – di noi. Ma nella mitologia iraniana, è la luce a vincere sull’oscurità nella loro eterna lotta”.
📌 Dove vedere la mostra: Casa del Mantegna, 10 – 18:30, sabato e domenica
Lisetta Carmi
Tra il 1962 e il 1977 Lisetta Carmi si è dedicata a un capitolo meno conosciuto della sua fotografia, incentrato sulla ripresa dei paesaggi della Sardegna e della Sicilia.
Allo stesso tempo il suo interesse è rivolto alle realtà sociali dei piccoli centri urbani. Con il suo obiettivo Carmi rivela una prospettiva più profonda e intima discostandosi dalla fotografia etnografica convenzionale e lontana da ogni folklore. All’interno di queste immagini le donne si dispiegano nelle azioni della vita quotidiana, nel loro privato, avvolte in un’atmosfera sospesa. Ritratti che pur mantenendo inalterata l’identità dell’individuo diventano elementi integranti del paesaggio stesso. Lo sguardo di Carmi illumina le donne avvolte in veli neri, nel cuore della cultura contadina del Sud Italia. A Mantova arriva una selezione dall’archivio della fotografa, per una mostra curata da Giovanni Battista Martini, che ci offre una visione autentica di queste donne che, con un misto di fierezza e spontaneità ci svelano la loro forza e dignità.
📌 Dove vedere la mostra: Casa del Mantegna, 10 – 18:30, sabato e domenica