Artlab Eyeland 2024: a Taranto mostre fotografiche sulla “Terra Madre”

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Prende il via sabato 25 maggio, con mostre fino al 30 giugno, Artlab Eyeland 2024 – l’isola delle arti con mostre e installazioni nella città di Taranto.

L’iniziativa è promossa e organizzata da PhEST – l’associazione che firma anche il festival internazionale di fotografia e arte di Monopoli – con il sostegno del Comune di Taranto, il patrocinio della Regione Puglia e della Soprintendenza Nazionale per il patrimonio culturale subacqueo con sede a Taranto, e la partnership dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

Dalla serie " Mother" © Lisa Sorgini
Dalla serie ” Mother” © Lisa Sorgini

Artlab Eyeland 2024 a Taranto: le mostre da vedere

Il tema dell’edizione 2024 è Terra Madre. Ha accompagnato scelte e selezioni del direttore artistico Giovanni Troilo, di Arianna Rinaldo, curatrice delle proposte fotografiche, di Roberto Lacarbonara per l’arte contemporanea e di Cinzia Negherbon alla direzione organizzativa.

Di cosa si tratta? Di un omaggio alla città di Taranto e alla sua Città Vecchia, una terra racchiusa tra due mari. Un tema che con il corpo dei lavori scelti per rappresentarlo terrà insieme i discorsi sulla terra d’origine, sulla cura dell’ambiente e un lavoro profondo, prodotto in residenza, su e con le madri di Tamburi.

Nelle scorse settimane, infatti, le famiglie tarantine sono già state coinvolte nell’atteso progetto fotografico di Lisa Sorgini, ospite dell’evento in residenza d’artista. La fotografa australiana, nota per la sua ricerca di storie e immagini di maternità, ha coinvolto donne e bambini del quartiere Tamburi di Taranto nella realizzazione di una serie di scatti di grandissima umanità. Il rione, condizionato dalla prossimità al polo siderurgico dell’Ilva, vive in un tempo sospeso tra passato e futuro. La selezione di immagini e vissuti diventa così una mostra ospitata tra Postierla Immacolata, Vico Galeota e Palazzo Galeota dove Lisa Sorgini inaugura anche la mostra “Mother”, con una selezione degli scatti più iconici del suo percorso artistico.

Giovanni Termini e Gianni D’Urso presentano installazioni site specific al Palazzo Galeota. Giovanni Termini con La misura di un intervallo occupa ironicamente uno spazio pubblico contribuendo a discutere i divieti, i confini, gli ordini, le regole della collettività e guadagnando “la misura di un intervallo”, un’area franca di libertà e di gioco che, tuttavia, assume le sembianze di una gabbia, una prigione chiusa e separata, emarginata dal resto del fluire cittadino. Giovanni D’Urso con Love Training osserva e riflette sulle fragilità e sulle contrapposizioni della condizione umana. Precarietà, sogno, fallimento e gioco sono i termini centrali del suo lavoro.

Sempre a Palazzo Galeota sono allestite anche la mostra The Day May Break di Nick Brandt, progetto globale che ritrae persone e animali colpiti dalla distruzione ambientale, e le proiezioni di Pianeta acciaio diretto nel 1962 da Emilio Marsili, con soggetto di Luciano Emmer e sceneggiatura di Dino Buzzati, e Acciaio tra gli ulivi di Giovanni Paolucci, due brevi film custoditi dall’Archivio Ilva Italsider e messi a disposizione dalla Fondazione Ansaldo.

Grazie alla partnership con l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, il Chiostro dell’Università ospita R(h)ome di Caimi & Piccinni, uno dei capitoli di un progetto fotografico ancora in corso incentrato sull’indagine visiva di città che stanno vivendo una dinamica o controversa metamorfosi. Jean-Marc Caimi e Valentina Piccinni collaborano dal 2013 dedicandosi a progetti di fotografia documentaria e personale. I loro lavori esplorano le molteplici relazioni tra l’essere umano e il proprio ambiente, abbracciando aspetti sociali ed emotivi.

Tra i progetti esposti nel chiostro del Dipartimento Jonico dell’Unibari anche il progetto “La Maya” del fotografo messicano Daniel Ochoa de Olza che documenta una tradizione di origine medievale del paese Colmenar Viejo, vicino a Madrid. Qui ogni anno quattro o cinque bambine tra i 7 e gli 11 anni vengono scelte come Maya tra le volontarie, alternandosi. Adornate con abiti tradizionali, ogni Maya deve stare ferma, seria e in silenzio per un paio di ore su un altare disposto per strada e decorato con fiori locali e piante. La festività della Maya deriva da riti pagani e tradizionalmente si ritiene che questa figura dia il benvenuto al ritorno della natura dopo il letargo invernale, ma si dice anche che sia simbolicamente legata al passaggio da bambina a donna.

In mostra, infine, anche i vincitori della “call for artists Isola Madre” rivolta agli artisti di Taranto e provincia. La direzione artistica, in accordo con Salgemma, partner della call, ha assegnato il Premio Isola Madre a Luigi Colella con Ultrà. Ad Alessandra Gervasio, con Scala 1:1, è stata invece offerta la possibilità di esporre la propria creatività a GATA Galleria Taranto.

Info: www.artlabeyeland.it

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