ROMA. Dal 6 febbraio al 28 marzo la Galleria del Cembalo ospiterà la mostra “Wilder Mann” che prende il nome dalla serie di fotografie che il ritrattista francese Charles Fréger ha realizzato i tutta Europa per esplorare riti e tradizioni ancestrali nel vecchio continente.
I ritratti fotografici e, in particolare, quelli di soggetti in uniforme – di qualsiasi tipo essa sia – sono da sempre la materia del lavoro di Charles Fréger che rivolge la sua attenzione a comunità presso le quali l’abito riveste un ruolo di primissimo piano, siano esse di militari, oppure di sportivi, o ancora di scolari, religiosi o teatranti.
L’insieme del suo lavoro di rigoroso ritrattista descrive quasi un’antropologia dei costumi, mai disgiunta dagli usi, dalle pratiche umane. Così accade per la serie Wilder Mann, con cui Fréger esplora da tempo riti e tradizioni europee in cui l’abito diventa maschera, travestimento, incarnazione del mito.
Ispirate a una concezione ciclica dell’esistenza, queste mascherate tradizionali si tengono ogni anno, particolarmente in inverno, in quasi ogni angolo d’Europa. La ricerca di Fréger ha toccato così Austria, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia – Sardegna e Alto Adige in particolare –, Macedonia, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Scozia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ungheria e, più di recente, Inghilterra e Irlanda.
Nelle settanta fotografie della mostra vediamo, dunque, uomini che sono entrati nella pelle del ‘selvaggio’ – il ‘wilder mann’ è, secondo la leggenda, il frutto dell’unione tra un orso e una donna – diventando fantoccio di paglia, diavolo, mostro dalle mascelle d’acciaio. Personaggi umani e maschere zoomorfe – capra, cervo, cinghiale e naturalmente orso – compongono una sequenza che, se da un lato colpisce per la straordinaria diversità delle trasformazioni, dall’altro vede affiorare in certi elementi ricorrenti – pelli, campane, bastoni, corna – una sorta di ineffabile trasversalità, parzialmente misteriosa e non certo riconducibile agli aspetti più recenti della cosiddetta globalizzazione.
“L’uomo selvaggio non ha mai smesso, nel corso del tempo, di sparire e riapparire. Si è deformato, trasformato, è cresciuto, rimpicciolito, ora con tanti capelli, ora calvo, è il Bene, è il Male ”. Questo scrive Robert McLiam Wilson nel testo che apre il volume “Wilder Mann – O la figura del selvaggio”, edito in Italia da Peliti Associati, che raccoglie le fotografie di Fréger sul rito quasi paneuropeo del camuffamento primordiale.
Le immagini del continente selvaggio oscillano tra estetiche minacciose e figurazioni buffe, tra la cupa evocazione della paura e i territori, opposti e complementari, del carnevale e del grottesco.
Si tratta, in ciascuno dei casi, di superfici che hanno spessore e importanza. Di apparenze che non ingannano, risalendo invece dalle più recondite e ancestrali profondità.
Charles Fréger nasce a Bourges, in Francia, nel 1975. Si è laureato presso la Scuola d’arte di Rouen nel 2000. Si è dedicato alla rappresentazione poetica e antropologica di gruppi sociali come atleti, scolari, forze armate. I suoi lavori offrono una riflessione sull’immagine della gioventù contemporanea. È anche il fondatore della comunità artistica Piece of Cake e della casa editrice POC. Le sue serie dedicate agli sportivi, soldati o studenti, realizzate in Europa e nel resto del mondo, si concentrano soprattutto su quello che indossano, sulla loro uniforme. Ha scelto comunità in cui le tenute assumono le sembianze più esuberanti e prestigiose (come nelle serie Steps, Empire, Opera), così come situazioni più modeste nelle quali l’immagine collettiva simboleggia la vita in Europa (Bleus, Sihuhu) o in altri continenti (Umana, Ti du). Le sue immagini registrano gli effetti della socializzazione, riconoscibili nel costume e nell’abbigliamento, che rappresentano il livello più esteriore dell’essere. Ha pubblicato numerosi lavori ed esposto in diversi musei e gallerie in Europa, Asia e negli Stati Uniti.