VENEZIA. Si intitola “Il flâneur detective” ed è una delle mostre fotografiche della nuova stagione espositiva di Casa dei Tre Oci. L’esposizione, al secondo piano del palazzo, presenterà scatti di Giulio Obici per una mostra a cura di Renato Corsini.
Per oltre quarant’anni editorialista e inviato speciale, Obici (Venezia 1934 – Milano 2011) ha seguito le grandi inchieste sul terrorismo, da Piazza Fontana al delitto Moro, indagando parallelamente i grandi eventi giudiziari.
Il flâneur detective – dal titolo della serie di racconti pubblicata postuma, nel 2015 da Marsilio Editori- riflette il senso dell’osservazione e dell’indagine proprio di Obici. Nella celebre descrizione offerta da Walter Benjamin il flâneur è colui che attraversa le città per perdervisi, conoscerle, penetrarle dall’interno (Parigi, capitale del XIX secolo: i passages di Parigi). Un flâneur detective che cerca, indaga, coglie e narra i “fatti”.
In mostra 68 immagini, tra le quali 50 fotografie inedite, tutte risalenti a un archivio che è venuto formandosi nel corso degli ultimi anni grazie al lavoro del curatore Renato Corsini e di sua figlia Olivia.
Ne è così emerso una sorta di diario dell’Italia, raccontata attraverso particolari angolazioni di cartelloni pubblicitari, tabelloni elettorali inutilizzati e arrugginiti, vetrine, vie, luoghi-non-luoghi modificati dagli usi, dalle réclames, dalla commercializzazione di tutto. Una via di Milano con al centro una lattina di coca cola rovesciata da cui fuoriesce la schiuma nera della bevanda che impregna l’asfalto. In lontananza uomini, colti di spalle, lasciano la scena (la strada) alla lattina e al suo contenuto, segno tangibile di un rovesciamento del rapporto tra soggetto e oggetto: perché è l’oggetto il soggetto di queste foto, dove l’uomo diviene oggetto tra gli altri oggetti. Analogamente irrompe come protagonista la vetrina di una boutique: gambe di manichini femminili sospese su una pila di giacche. Dai riflessi del vetro s’intravedono volti: una donna, passanti, un uomo che si specchia, tutti ombre-comparse semi-nascoste, esiliate, spazzate vie.
Forte è la percezione della consapevolezza di un senso di decadenza e di mediocrità, di degrado e omologazione verso cui si avviava l’Italia, come l’intuizione di scomparsa ulteriormente dilatata e amplificata dal bianco e nero. Obici del resto fotografava esclusivamente in bianco e nero, con le Leica M, stampando da sé le proprie foto.
Come ha scritto Gianni Berengo Gardin, “le fotografie di Obici lasciano un segno e diventano momento storicizzante”. Ciò che sorprende non è (soltanto) la rappresentazione di questo vuoto e di questa mancanza, ma – come ha sottolineato Franco Loi- l‘intelligenza degli accostamenti, che forniscono approfondimenti e correlazioni di pensiero dalla sola configurazione degli spazi.
Italo Calvino nelle sue memorabili Città invisibili ha descritto le città individuandone nessi e connessioni con alcune categorie/filoni come il desiderio, la memoria, il cielo. Senza dubbio le immagini di Obici rientrerebbero a buon diritto nella categoria de “Le città e i segni”, perché in ogni scatto le scritte sui muri, i manifesti, gli scorci di case o mare, le macchine, sono simboli e coordinate interpretative di una storia: la storia italiana dagli anni ’80 agli anni 2000. Non a caso nessuna immagine ha un titolo. Riporta luogo e anno.
Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitar[la] non fai che registrare i nomi con cui definisce se stessa e tutte le sue parti –Italo Calvino, Le città invisibili.
Il flâneur detective
Dove: Casa dei Tre Oci, Giudecca 43, Venezia
Quando: dal 23 gennaio al 28 marzo 2016
Info: www.treoci.org