VENEZIA. Rimarrà aperta al pubblico fino a dicembre, a Palazzo Grassi, “Irving Penn, Resonance”, la prima grande esposizione dedicata al fotografo americano in Italia. Curata da Pierre Apraxine e Matthieu Humery, la mostra presenta 130 fotografie dalla fine degli anni Quaranta fino alla metà degli anni Ottanta.
Una parte di queste fotografie proviene dalla collezione di Kuniko Nomura, assemblata durante gli anni Ottanta con l’aiuto di Irving Penn stesso dove il fotografo ha raccolto una selezione di opere in grado di rappresentare una sintesi completa e coerente del suo lavoro. Per questo, l’esposizione riunisce 82 stampe al platino, 29 stampe ai sali d’ argento, 5 stampe dye-transfer a colori e 17 internegativi mai esposti prima d’ora.
Esposti i grandi temi cari a Irving Penn che, al di là della diversità dei soggetti, hanno in comune la capacità di cogliere l’effimero in tutte le sue sfaccettature. Ne è un esempio la selezione di fotografie della serie dei “piccoli mestieri”, realizzata in Francia, negli stati Uniti e in Inghilterra negli anni Cinquanta. Convinto che quelle attività fossero destinate a scomparire, Penn ha immortalato nel suo studio venditori di giornali ambulanti, straccivendoli, spazzacamini e molti altri ancora, tutti in abiti da lavoro.
Per lo stesso motivo, i ritratti dei grandi protagonisti del mondo della pittura, del cinema e della letteratura realizzati dal 1950 al 1970 – tra cui Pablo Picasso, Truman Capote, Marcel Duchamp, Marlene Dietrich – ed esposti accanto a fotografie etnografiche degli abitanti della repubblica di Dahomey, delle tribù della Nuova Guinea e del Marocco, sottolineano con forza la labilità dell’esistenza dagli esseri umani, siano essi ricchi o indigenti, celebri o sconosciuti.
All’interno di questo percorso, che promuove il dialogo e le connessioni tra le opere di diversi periodi e differenti soggetti, lo still life svolge un ruolo di primissimo piano: in mostra, infatti, sono raccolte fotografie che presentano composizioni di mozziconi di sigarette, ceste di frutta, vanitas – assemblaggi di crani, ossa e altri oggetti – così come teschi di animali fotografati al museo di Storia Naturale a Praga nel 1986 per la serie “Cranium architecture”.
Questo ampio panorama, in cui immagini poco conosciute affiancano pezzi iconici, offre una chiara testimonianza della particolare capacità di sintesi che caratterizza il lavoro di Irving Penn: nella sua visione, la modernità non si oppone necessariamente al passato, e il controllo assoluto di ogni fase della fotografia, dallo scatto alla stampa (alla quale dedica un’importanza e un’attenzione senza pari) permette di andare molto vicino alla verità delle cose e degli esseri viventi, in un continuo interrogarsi sul significato del tempo e su quello della vita e della sua fragilità.