[quote_box_center] “Flâner” [se promener] girovagare, andare a spasso OU zonzo [/quote_box_center]
MILANO. “Flâner” significa “andare a zonzo, gironzolare, bighellonare”. E il Flâneur – come lo definiva Charles Baudelaire – è il gentiluomo che vaga per le vie cittadine, immergendosi nei luoghi e provando emozioni nell’osservare il paesaggio. Piergiorgio Branzi è sempre stato fedele a questo approccio alla fotografia, e le oltre 30 fotografie in mostra alla Leica Galerie – dal 30 giugno al 12 settembre – lo testimoniano, confermando al contempo lo spessore autoriale del fotografo fiorentino.
Delle molte anime della fotografia italiana, Branzi incarna quella più colta ed aristocratica. Formatosi nella tradizione figurativa rinascimentale toscana, dotato di una naturale eleganza, presto abbandona la ricerca formale per diventare un maestro del “ritratto ambientato”. Monsignori, bambini, borghesi, paesani, colti di sorpresa, con sottile sarcasmo, restano in equilibrio tra un lirismo sommesso e una vivida caratterizzazione psicologica.
L’immagine, rigorosamente bilanciata nella composizione, è per Branzi il prodotto di previsioni, riflessioni, aggiustamenti di tono e tagli in camera oscura, di equilibrio formale e momento decisivo nella ripresa.
[quote_box_center]Fondamentale nella sua evoluzione stilistica fu l’incontro con il fotografo Mario Giacomelli, di cui Branzi dice: “aveva più o meno la mia età, e con lui stabilii un certo sodalizio artistico, perché tutti e due impegnati, in quel momento, a scandagliare le possibilità d’impianto espressionista: toni definitivamente neri e bianchi bucati, mangiati nella ripresa e nella stampa. In accordo definimmo questo segno l’identificazione stessa del fare fotografia, e su questo richiamo alla grafica stabilimmo un rapporto di intesa che contribuì ad avvicinarci anche sul piano dell’amicizia…”.[/quote_box_center]
Con la tecnica della stampa giclée, utilizzata per la stampa della maggior parte delle fotografie in mostra, le immagini sembrano animarsi di una luce nuova e un contrasto più denso. Particolari rimasti sepolti sulla pellicola riaffiorano, diventano materia, intessono di spessore il nero e il bianco della trama e le fotografie trovano una dimensione diversa, più nuova e insieme antica.
Piergiorgio Branzi. Nasce il 6 settembre 1928 in una piccola cittadina lungo il corso dell’Arno, Signa, una decina di chilometri da Firenze, terzo di sette figli. Branzi apprende il fascino e la malia delle immagini impresse su pellicola proprio nell’orto della fabbrica del nonno che confina con il Teatro della cittadina, dove il all’indomani delle proiezioni cinematografiche, raccoglie gli spezzoni scartati dagli operatori dopo le innumerevoli rotture del logorato supporto di celluloide. A metà degli anni trenta la famiglia si trasferisce a Firenze, dove il padre ha aperto una libreria e una piccola casa editrice d’impronta religiosa. Finito il liceo Branzi, senza troppo entusiasmo, si iscrive a giurisprudenza. Alle prime frequentazioni di pratica in tribunale si rende conto che “non sarebbe mai stato avvocato e tanto meno giudice… forse imputato”. Il sempre maggiore coinvolgimento del padre nell’attività politica costringe i figli ad occuparsi a turno della libreria. Piergiorgio incontra così le prime pubblicazioni illustrate con fotografie, come Segreto Tibet del fiorentino Fosco Maraini. Il giro di boa, per la sua vicenda fotografica, si verifica nel 1953, con la visita ad una mostra di Henri Cartier-Bresson, allestita in palazzo Strozzi da Ragghianti. Esce dall’esposizione e acquista una macchina fotografica Condor, prodotta nelle officine Galileo di Firenze. Nel 1959 Branzi organizza una serie di mostre fotografiche nella sede fiorentina del “Giornale del Mattino”, tra le quali quelle di Tony Armstrong Jones, di Fosco Maraini, di Giulia Niccolai, di Pietro Donzelli. Branzi vuole sperimentare anche il cinema ed acquista una Paillard 16mm. Realizza solo alcuni documentari industriali, ma l’esperienza gli è utile per l’assunzione alla RAI, nel 1960, in qualità di “giornalista-reporter”, incaricato cioè di realizzare servizi completi di testo e di immagini. Nel 1962 il direttore del Telegiornale, Enzo Biagi, lo invia a Mosca. è il primo corrispondente televisivo occidentale nell’Unione Sovietica. Branzi rimane a Mosca quattro anni riservando la cronaca politica alla quotidiana attività professionale, mentre alla fotografia affida il compito di registrare un diario personale su una realtà ed una esperienza umana particolare. Le immagini di questo diario Branzi le tiene chiuse in un cassetto per più di due decenni, per non accendere travisamenti. Branzi torna da Mosca nel 1966 e appende la macchina fotografica al chiodo, dedicandosi alla pittura e all’incisione. Riprende in mano la sua Leica nel 1995, su invito di Italo Zannier per partecipare assieme a Barbieri, Basilico, Berengo Gardin, Fontana, Gioli, Scianna, e altri, all’iniziativa Itinerari Pasoliniani, in Friuli. La “Biblioteque National de France” di Parigi ha costituito nel 2007 un “Fondo permanente” delle sue opere. Sue immagini sono state acquisite anche dal “MOMA” di San Francisco, “Guggenheim Museum” di New York, “Fine Art Museum” di Huston, “Istituto Superiore Storia della Fotografia”, “Archivio Fratelli Alinari”, oltre ad altre Istituzioni pubbliche e gallerie, in Italia e all’estero.
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Flâneur – Piergiorgio Branzi
Dove: Leica Galerie Milano, via Mengoni 4, Milano.
Quando: dal 30 giugno al 12 settembre 2015
Orari: lun 14.30-19.30/ mar-sab 10.30-19.30 – domenica chiuso
Ingresso: gratuito
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