ROMA. Saranno 33 le stampe in gelatina d’argento di Vivian Maier in mostra alla 10b photography gallery per Ilex Gallery.
di Daniel Blochwitz
Quando nel 1987 la rock band irlandese degli U2 pubblicò la canzone “Where the Streets Have No Name”, cantando e suonando contro l’anonimato delle società divise e di divisione, in cui l’indirizzo di una persona, l’accento, il colore della pelle, il sesso, lo stato mentale o l’abbigliamento possono determinare, in base alla nostra valutazione, la sua vita e le sue conquiste personali, una fotografa di strada ancora sconosciuta stava scattando a Chicago quelle che probabilmente sarebbero state le ultime immagini di una costante e produttiva documentazione.
Iniziò circa 35 anni prima, con la sua Rolleiflex per le strade di New York – da autodidatta, con grande talento, spinta e persistenza – fotografando le persone e le strade come icone istantanee. Il suo lavoro può essere affiancato a quello dei grandi fotografi di strada del 20° secolo, molte delle sue immagini infatti ricordano fotografie che abbiamo visto da Lewis Hine, Ilse Bing, Lisette Model, Dorothea Lange, August Sander, Robert Frank, Helen Levitt, Louis Faurer, Diane Arbus, Weegee, Lee Friedlander, o Joel Meyerowitz, per nominarne alcuni. Lei sembra averli incanalati tutti, anche coloro che sono stati da lei preceduti, in quello che la critica del New York Times Roberta Smith chiama “un rigore quasi enciclopedico” nel riassumere “la storia della fotografia di strada del 20° secolo”. In seguito, il suo nome, Vivian Maier (1926 – 2009, americana), dovrebbe essere incluso negli annali della fotografia di strada.
Il problema fu che tutte le sue immagini rimasero nascoste alla vista del pubblico fino alla fine della sua vita. Fino a quel momento nessuno era ancora a conoscenza della quantità e della qualità del suo lavoro, lei stessa infatti non sapeva che la sua produzione fotografica, circa 100.000 negativi, era stata scoperta due anni prima della sua morte. Così ella morì credendo che le sue pellicole fotografiche, i video e le registrazioni audio fossero ancora rinchiuse in scatole su scatole fra i suoi effetti personali in un luogo di deposito di Chicago – che era “[riparato] dalla pioggia avvelenata” (U2).
La maggior parte dell’impressionante numero di sue fotografie devono ancora essere rese pubbliche. Guardando i provini dei suoi negativi, che contengono pochissimi scatti multipli di qualsiasi motivo o soggetto, ci si rende conto dell’incredibile quantità di straordinarie fotografie per ogni rullino fotografico. In termini matematici, ha catturato circa 12 fotogrammi, o un rullino di pellicola di medio formato al giorno, tutti i giorni per circa 40 anni. Dato che solo poche centinaia di immagini scattate da Vivian Maier attualmente circolano nel mondo all’interno di mostre e libri, ci possiamo ancora aspettare da lei una quantità enorme di futuri classici. Solo il numero di immagini iconografiche, prodotte da un singolo fotografo che ha lavorato a tempo pieno per tutta la vita come aiuto domestico e tata, è da capogiro.
Quello che possiamo supporre nel guardare le note fotografie di Vivian Maier è che spesso vagava in strade sconosciute mentre lavorava e non, esplorando a lungo il mondo intorno a lei con la macchina fotografica puntata su queste deviazioni, una pratica non dissimile da quello che i Situazionisti avevano definito dérive. Lei era un’imparziale opportunista che ritraeva persone provenienti da tutti i ceti social ma con la mente critica e l’occhio di un’osservatrice politicamente coscienziosa. Le sequenze inedite di immagini su ogni rotolo di pellicola spesso vengono lette come dei fantastici storyboard che la seguono attraverso le strade ed i giorni della sua vita. Come spettatori delle sue fotografie assistiamo al suo costante sguardo indagatore, alla sua messa in discussione del mondo com’era allora, il maschilismo, il classismo ed il razzismo quotidiano nelle strade di New York, ma anche la bellezza ed il puro piacere della vita vissuta.
Molte delle sue immagini sono ormai entrate nella nostra memoria collettiva. Le sue migliori fotografie rimarranno con noi per sempre e ci ricorderanno l’umile natura di perseguire con una macchina fotografica la verità nelle strade. Si tratta di un duro lavoro che raramente ripaga. Nel 1987, gli U2 hanno cantato, “Voglio correre, voglio nascondermi, voglio abbattere i muri che mi tengono dentro. Voglio toccare con mano la fiamma. Dove le strade non hanno nome”. Queste parole sembrano risuonare autentiche anche per Vivian Maier, ma noi non lo sapremo mai davvero.
Vivian Maier (1926 – 2009) è stata una fotografa americana nata a New York City. Tata di professione, la fotografia di Vivian Maier è stata scoperta da John Maloof in una casa d’aste di Chicago. Nel corso di cinque decenni, Vivian Maier ha esposto oltre 2.000 rotoli di pellicola, 3.000 stampe e più di 100.000 negativi, la maggior parte scattati con la sua Roleiflex a Chicago e New York City e mai condivise con nessuno. Le sue fotografie in bianco e nero offrono uno delle finestre più affascinanti nella vita americana della seconda metà del ventesimo secolo.
Vivian Maier: Where Streets Have No Name
Dove: ILEX Gallery @10b Photography Gallery, Via San Lorenzo da Brindisi 10b, Roma, (Garbatella)
Quando: dal 4 novembre 2016 al 5 gennaio 2017
Info: www.ilexphoto.com