Scienza e arte si intrecciano perfettamente negli scatti del fotografo reggiano Luca Gilli. Classe 1965, alla fine degli anni ’80 inizia a fotografare soprattutto per documentare le sue ricerche scientifiche. Infatti, Gilli ha una formazione nelle scienze naturali che è stata importante nel forgiare la sua sensibilità fotografica. Le sue fotografie fanno parte di collezioni private e sono esposte al Bibliothèque Nationale de France di Parigi, Musée de la Photographie a Charleroi, Kunstbibliothek di Berlino, Musée d’Art Moderne et Contemporain di Strasburgo, Musée Réattu di Arles, École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi, del Thessaloniki Museum of Photography. Nel 2011 ha partecipato a Fotografia Europea di Reggio Emilia con il progetto “Menù del giorno”.
Partiamo dagli inizi: quando ha avuto l’esigenza di passare da una fotografia di documentazione ad una più creativa, artistica?
Premesso che questa distinzione è sempre più schematica che reale, per anni mi sono dedicato al “reportage” a colori delle mie ricerche scientifiche e dei miei viaggi. Poi ho avvertito un’esigenza sempre più “creativa” e ho iniziato a dedicarmi al paesaggio naturale in bianco e nero. Ciò anche perché “folgorato”, dall’incontro con le fotografie e con il vissuto personale di alcuni grandi fotografi come A. Adams, E. Weston, M. White, P. Caponigro. In questo periodo ho poi incontrato il fotografo reggiano Vasco Ascolini, che è diventato un riferimento importante e un amico. Il lavoro in camera oscura, con la sua atmosfera rituale, estraniante e riflessiva, si è poi rivelato una scuola fondamentale anche per il mio passaggio al colore digitale.
Quindi un cambiamento stilistico: dal colore al bianco e nero?
Oltre alle rilevanti differenze linguistiche rispetto al colore, e col senno di poi, la scelta del bianco e nero come mezzo per una svolta più creativa è stata anche un modo inconscio per sottolineare a me stesso una discontinuità col passato. Inoltre, il bianco e nero mi ha dato la possibilità fondamentale di condurre personalmente tutta la procedura di produzione delle immagini, dallo scatto alla stampa.
Com’è avvenuto il ritorno al colore, perché l’esigenza di cambiare cifra stilistica nuovamente?
Dopo anni appassionanti di “visione monocromatica” e camera oscura, il ritorno al colore è avvenuto nel 2009 durante un viaggio in Islanda, dove la vitalità geologica della Terra, la sua dinamicità, la potenza magnetica e genetica del suo calore viscerale mi si sono manifestate con una tale intensità da impormi un ritorno al colore. Infatti, i colori sono l’energia nel suo aspetto più vitale, intenso e dinamico. Eliminarli voleva dire sacrificare troppo di questa parte centrale del mio vissuto.
Un altro importante progetto a colori è quello sui cantieri, dove si assiste ad un altro passaggio nel suo modo di vedere le cose.
In realtà c’è un filo conduttore nel mio percorso fotografico che prescinde dalla scelta BN/colore. Qualche anno fa ho sentito l’esigenza di confrontarmi con un ambito segnato da alcune forti connotazioni, contraddizioni e tensioni emblematiche della contemporaneità e della mia stessa vita. Ho assecondato l’impulso di rivolgermi al quotidiano, senza bisogno di evadere nella natura. Nella sua essenza il cantiere, soprattutto quando non è eccellenza e se vissuto dall’interno, è sempre uguale a se stesso in qualsiasi parte del mondo: un ambito in rapida trasformazione, caotico, frenetico, rumoroso e oltremodo sovraccarico, come il nostro tempo. Così per me è diventato un emblema della globalizzazione. Agire fotograficamente nell’intimità lacerata e impresentabile di questi luoghi comuni ancora privi d’identità e di storia o comunque sopraffatti dalla frenesia di nascondere i segni “meno conformi” al presente di un loro eventuale passato, immergersi nelle tensioni e nelle convulsioni del loro divenire è stata anche una risposta all’esigenza di confrontarmi con un terreno privo, all’origine, dell’armonia e dell’incanto che ho sempre vissuto nella natura, persino nei suoi risvolti più cruenti. Entrare in risonanza creativa con questi contesti precari, sperimentare, giocare con le loro luci, le loro forme, i loro volumi cercando di condensarli in pause leggere e feconde si è rivelata un’esperienza travolgente e totalizzante che ha virato per sempre la mia ricerca creativa.
Luca Gilli al momento ha in essere due mostre. “Blank” a Torino alla Galleria Weber & Weber (prorogata fino al 28 febbraio) e Samsära a Nantes in Francia alla galleria Confluence (fino al 22 febbraio).