“Sono un cielo nuvoloso” è il recente lavoro fotografico di Loredana De Pace, fotografa e giornalista, presentato dall’11 novembre al 5 dicembre, all’ Interzone galleria studio di Roma.
Un lavoro autobiografico, proiettato nel paesaggio dei propri ricordi: scene di vita tra luoghi della memoria, oggetti, indumenti, situazioni che raccontano la sua storia. Attimi del tempo, che sono e rimangono del passato. E poi, nel vivere di oggi, gli stessi momenti che acquistano un valore diverso, che hanno contribuito a forgiare il proprio essere e a volte le proprie direzioni, che, in conclusione, raccontano una storia umana.
“Quello che c’era e che oggi non c’è più, o esiste in altro modo, in altro senso, con altro peso”, questo è il pensiero di Loredana De Pace nei confronti dei propri scatti per Sono un cielo nuvoloso. È l’esistenza avvolta in momenti malinconici, cupi, sintomi di un momento doloroso percepito, vissuto e poi dopo molto tempo, elaborato.
Chi di noi non ha mai avuto momenti difficili nella vita, dove aggrapparsi a una ragione dell’esistere diventa labile? Una domanda retorica, per riflettere su quante immagini nebulose che ognuno di noi ha fermato nella propria mente, nel proprio cuore, frammenti integranti del nostro bagaglio, della nostra crescita. Espressione di una vita che chiede di andare avanti per nuove strade.
E’ proprio a Loredana De Pace – a cui rivolgiamo alcune domande – che ci darà modo di poter apprezzare in modo più approfondito questa ricerca fotografica per il suo progetto.
Sono un cielo nuvoloso cosa significa per te questo progetto fotografico?
Molto più di ciò che le fotografie mostrano: Sono un cielo nuvoloso è diventato nel tempo un modo per mettere in luce un lungo tratto della mia vita. La fotografia, cioè, mi ha “concesso” di esprimermi in modo personale e autobiografico ma poi, esponendo le immagini in mostra, le microstorie contenute nei piccoli 10x10cm sono diventate di tutti.
Qual’è stata la spinta che ti ha indirizzato a sviluppare questo progetto e come sei riuscita a trovare il filo emotivo per dare forme alle tue immagini?
La necessità mi ha indotto a cominciare a scattare questo progetto, ma senza sapere minimamente che sarebbe divenuto una mostra. Avevo “solo” bisogno di tracciare attraverso la fotografia, dei segnali permanenti di situazioni appartenute alla mia vita.
In verità non ho cercato un filo emotivo che potesse comporre in modo coerente le immagini, ho scattato tantissimo e poi, con l’aiuto del curatore della mostra, il gallerista Michele Corleone, abbiamo effettuato una prima macro-selezione per poi proseguire il lavoro sulla base di quanto editato. Il lavoro di rifinitura della mostra è durato circa un anno e mezzo.
Un tessuto fiorato, sfumato blu in primo piano e in lontananza delle fotografie incorniciate. Questa la copertina della mostra. Perché hai scelto quest’immagine come quella introduttiva e cosa rappresenta per te?
Si tratta di un tendaggio semi trasparente che ho fotografato in un museo di Lucca. La tenda nasconde, protegge, copre o svela. Proprio come si propongono di fare i miei cieli nuvolosi.
Le immagini non sono state fatte con una reflex, ma bensì con uno smartphone in modalità Hipstamatic. Perché hai scelto questo mezzo come strumento espressivo? Cosa ha aggiunto o tolto rispetto ad una macchina fotografica reflex?
Per una questione di velocità, perché avevo lo smartphone sempre con me e, per l’urgenza di scattare quando “incontrato” una foto di fronte a me. Naturalmente la reflex resta la reflex: uno strumento sicuramente più preciso e nato per la fotografia. Ma non era Man Ray a dire “oublier le medium”, dimentica il mezzo? In questo progetto io ho provato a farlo…
Rispetto al tuo percorso fotografico e nei confronti di questo progetto, hai tratto ispirazione da qualche autore – fotografo – in particolare?
Avrei volentieri tratto ispirazione da autori che hanno interpretato il proprio sentire meglio e prima di me, se avessi saputo che stavo lavorando a un cosiddetto “progetto”. Ma non essendone cosciente, a differenza degli altri miei lavori pianificati per filo e per segno, i suggerimenti sono arrivati direttamente dalla vita. Ciò non toglie che, se analizzassimo a fondo le immagini, troveremmo le tracce degli autori che amo di più: Cartier-Bresson, il già citato Man Ray, Witkin, solo per citarne alcuni.
C’è una fotografia a cui sei particolarmente legata? Perché?
Sì, ed è l’unica che non è in vendita: si tratta di uno scatto che mostra una fotografia ecografica di mio figlio Leonida, creatura meravigliosa che mi ha cambiato la vita, ma che purtroppo ho avuto in grembo per soli quattro mesi. A lui è dedicata la mostra.
Puoi illustrarci brevemente come è stato pensato il percorso di curatela di questa tua mostra?
Proviamo a sintetizzare per fasi di lavoro: visione del magma d’immagini/prima cernita/nuovi scatti/ulteriori analisi e scelta delle foto/selezione semi definitiva/stampa bozze foto/editing finale. Di seguito abbiamo allestito il muro di pensieri, ossia un blocco unico di micro storie 10x10cm nella prima sala della galleria. Questo grumo di brusii si concludeva con quelli che abbiamo chiamato “puntini di sospensione”, cioè alcune foto montate una di seguito all’altra in orizzontale, che scandivano un nuovo ritmo, più riflessivo e intimo prodotto dalle successive fotografie stampate in formato 50x50cm ed esposte nella sala successiva.
Nel finissage lo spettatore diventa parte della mostra. In che modo?
Sì, durante la serata di chiusura della mostra i miei ospiti sono diventati essi stessi parte dell’esposizione perché ho scattato loro un ritratto davanti al muro delle immagini. Mi sembrava il modo più bello per concludere l’evento espositivo e per rendere partecipe tutti delle storie raccontate dalle mie fotografie.
Dopo aver concluso questo progetto fotografico, sei riuscita ad ottenere più risposte rispetto al tuo passato?
Bella domanda. La funzione, se vogliamo un po’ terapeutica, di questa mostra era quella di avere il coraggio di raccontare qualcosa nascosto dietro le nuvole. E ce l’ho fatta, non senza fatica.
Se ho ricevuto una risposta non è arrivata tanto dalla mostra in sé, quanto dai feedback dei visitatori, che hanno interiorizzato ciascuno a proprio modo, zoomando nelle mie fotografie, e scegliendo di volta in volta la storia che apparteneva di più al proprio vissuto. Con questo voglio dire che è stato emozionante scoprire che queste foto non sono solo mie, ma assumono un valore aggiunto, oserei dire universale, proprio perché emotivamente condivisibili.
Sono un cielo nuvoloso è anche un catalogo con oltre 190 scatti, in 102 pagine edito dalla stessa galleria fotografica, disponibile su blurb al link http://www.blurb.com/b/5678002-s-o-n-o-u-n-c-i-e-l-o-n-u-v-o-l-o-s-o
oppure sul sito della galleria al link
http://www.interzonegalleria.it/store/shop/sono-un-cielo-nuvoloso-loredana-de-pace/