SAVIGNANO SUL RUBICONE. Una rivoluzione elegante, fatta con le immagini e la fotografia: è questo che fa Mustafa Sabbagh con i suoi progetti. Italo-palestinese, riconosciuto dal curatore Peter Weiermair come uno dei 100 fotografi più influenti al mondo ed uno dei 40 ritrattisti di nudo – unico italiano – tra i più rilevanti su scala internazionale, Sabbagh è stato ospite alla 24esima edizione del Si Fest (il festival fotografico di Savignano sul Rubicone).
Qui ha portato due progetti in uno, #000 – Tuxedo Riot, “progetti che dialogano tra loro e con chi li guarda” racconta Sabbagh. E sebbene a lui non piaccia partecipare ai festival questa volta ha fatto uno strappo alla regola. “Il festival per me è un concetto molto ghettizzante perché la fotografia è qualcosa di molto alto, però il nostro compito è dare a tutti la possibilità di confrontarsi con lo scatto stampato. In un momento stoico dove il web sta prendendo il sopravvento e il potere, il fatto di andare ad una mostra incide partecipazione. Ed è per questo che ho accettato di partecipare al festival di Savignano”.
Qui, dicevamo, due progetti che hanno in comune una sola cosa: dialogare con chi li guarda, portare alla partecipazione. “Le mie foto sono tante domande all’angoscia di un momento storico. Sono due lavori che dialogano tra di loro ma non dialogano mai con me, solo con chi li guarda, e quando le si guarda bisogna prendere una posizione: o si o no. Non è una fotografia di compiacimento”.
I suoi scatti poi nascono da una determinata riflessione. “La fotografia ha molti livelli di lettura – racconta Sabbagh – e diventa intelligente se noi diamo molti strumenti di lettura a chi la legge. Dobbiamo rendere le nostre fotografie comprensibili. Nelle mie foto la cosa importante è quello che io pensato e letto nella mia vita. Io parto sempre da un libro, da una riflessione, dai libri dell’adolescenza, da Pasolini. E da lì inizio a costruire il mio progetto”.
Per Sabbagh la macchina fotografica è il mezzo più democratico su questa terra e quindi diventa il giusto strumento per far riflettere e lanciare un messaggio. “Tramuto i miei pensieri e le mie riflessioni in fotografie. Questo perché vorrei fare dei cambiamenti ma non li voglio fare gridando come fanno tutti, li voglio fare molto delicatamente. Ecco perché la mostra ha come titolo ‘la rivoluzione in smoking’ perché credo che il cambiamento in questo momento storico si debba fare con eleganza”.
Scatti che comunque, precisa Sabbagh, non danno risposte. “Io con le mie foto non do’ risposte perché non ne ho – dice – le mie foto rappresentano solo domande“.
Foto che sono un po’ un’operazione di autoanalisi per Sabbagh “perché se io faccio parte di una comunità in un qualche modo fare analisi su di me serve a fare un’analisi sulla società” ma soprattutto che porteranno ad un’orgia collettiva. “L’atto inizia tra me e le mie riflessioni poi lo scatto prende vita e comincia a dialogare e fare sesso con chi la guarda. Non è una cosa che programmi. Accade. E io paragono questo atto ad un orgia o atto sessuale perché di fronte a un fotografia ci si comporta un po’ come nei rapporti umani: se scatta la chimica allora riesci a dialogare, se no rimani indifferente”.
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