TORINO. L’ex spazio industriale della premiata Tintoria a vapore Nicol (Via Alessandria 51/e) dall’8 maggio al 1 giugno ospiterà “Relitti” la mostra fotografica di Davide Virdis, nel contesto del festival Architettura in città 2013.
Luoghi abbandonati, vecchie fabbriche, un manicomio, edifici in rovina: sono questi i soggetti delle immagini di Davide Virdis che, in collaborazione con l’antropologo Paolo Chiozzi, ha realizzato in un progetto fotografico su luoghi dismessi che, per una ragione o per l’altra, sono stati svuotati dall’attività e dalla presenza umana. Un lungo viaggio tra Firenze, Sassari, Roma e Pontassieve che evidenzia, però, come il passaggio dell’uomo sia ben impresso nella memoria delle immagini pazientemente ritratte dal fotografo. Bastano, infatti, una fotografia che sbuca dall’interno di un armadietto o la scritta su un muro del manicomio o un indumento a terra per ricordarci che lì l’uomo è passato e rileggere quei luoghi abbandonati, trovandovi nuovi significati che poco o nulla hanno a che vedere con quelli iniziali.
Non si tratta di un lavoro di archeologia industriale, l’interesse verso i luoghi non è quello dell’architetto. E sebbene la formazione di Virdis venga proprio di lì (la sua tesi di laurea era basata sul rapporto tra fotografia e architettura), l’interesse di Virdis è più di tipo antropologico se non sociale.
Virdis ritrae ciò che la vita ha impresso negli spazi abbandonati: i pavimenti calpestati da innumerevoli passi che portano il segno del peso sostenuto, gli sportelli aperti degli armadietti che hanno contenuto chissà quale tesoro personale, un reggiseno rosso abbandonato vicino ad un letto improvvisato. A volte la vita ritratta da Virdis non è quella che abitava il luogo quando era nella sua primaria incarnazione; spesso nelle sue fotografie troviamo tracce di passaggi successivi, come se i luoghi abbandonati vivessero una seconda vita, come se avessero una seconda chance. Sono spesso luoghi abbandonati da decenni su cui si sono stratificate esistenze diverse, che sono essi stessi in trasformazione perché, come diceva Marc Augé citato da Chiozzi: “L’umanità non è in rovina, è in cantiere. Appartiene ancora alla storia. Una storia spesso tragica, sempre ineguale, ma irrimediabilmente comune”.
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