LUGANO. Fino al 29 novembre alla Photographica FineArt saranno esposte le immagini di Guido Guidi per la mostra “Cinque paesaggi, 1983-1993”. L’esposizione affronta per la prima volta una fase cruciale nella ricerca del fotografo avviata all’inizio degli anni Ottanta con il ritorno al linguaggio “primitivo” del grande formato e con la meticolosa esplorazione di quel fitto palinsesto di segni che costituisce il contro-paesaggio “ordinario” e apparentemente insignificante dell’Italia monumentale.
Dalla campagna urbanizzata del circondario di Cesena (luogo di nascita del fotografo) alla scabra geologia dell’Appennino tosco-emiliano (memore di Giotto e di Piero della Francesca), dalle umide piattezze della Via Romea (evocatrici del Deserto rosso di Antonioni) alla mortifera “civiltà” industriale di Porto Marghera (paradossale testimone della modernità del Regime e delle contraddizioni dello sviluppo), sino alla figura lunare e lacerata del Monte Grappa (drammatico teatro della Grande Guerra), la mostra delinea una sorta di geografia “minima” dell’Italia in un preciso momento storico della sua trasformazione.
Allo stesso tempo, le 35 stampe a contatto 20×25 presentate nella mostra, insieme con i 5 ingrandimenti 110×140 realizzati appositamente per questa occasione, sono altrettante meditazioni attorno al guardare come esperienza, memoria e relazione. Se la fotografia del paesaggio contemporaneo, ha suggerito Robert Adams, è insieme geografia, autobiografia e metafora, queste immagini sono anche il diario visivo di un’inesausta riflessione sul linguaggio fotografico, che dalle prime riprese frontali, quasi “preghiere” rivolte a soggetti archetipici e antropomorfi, muove progressivamente alla ricerca di inattese relazioni tra i frammenti del mondo. Su tutto domina una consapevolezza profonda del paesaggio come misura del tempo, tema da sempre privilegiato da Guidi: una dialettica tra costruzione e distruzione in cui le strutture umane si sfaldano nella materia elementare e informe – fibra, liquido, minerale, luce – di cui la fotografia stessa è costituita.
A questi “cinque paesaggi”, la mostra di Lugano accosta in maniera inedita alcune opere dei più importanti fotografi statunitensi con i quali Guidi ha intrattenuto un intenso e prolungato dialogo a distanza, tra cui i New Topographics Robert Adams e Stephen Shore, oltre a William Eggleston, Frank Gohlke, Joel Stenfeld e a grandi interpreti del linguaggio della consapevolezza ambientale, come Walker Evans e Harry Callahan.
Seconda tappa di una progetto ideato da Antonello Frongia per l’Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione di Roma, la mostra è accompagnata dal volume Guido Guidi. Cinque paesaggi, 1983-1993, a cura di Antonello Frongia e Laura Moro, Postcart/ICCD, Roma 2013, pp. 108, 75 fotografie in quadricromia, progetto grafico di Leonardo Sonnoli. Il volume è prodotto dall’Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione, con il sostegno di Photographica Fine Art Gallery, Lugano; Alma Mater Studiorum, Bologna, Dipartimento di Architettura; Istituzione Biblioteca Malatestiana, comune di Cesena.