ROMA. Rimarrà aperta al pubblico fino al 28 settembre al Cassino Museo la mostra “Imusmis 2” di Brunella Longo e a cura di Bruno Corà. Esposte immagini in paesi dell’Asia Minore che ricalcando il primo viaggio di Brunella Longo (Imusmis) effettuato in zone desertiche dove la geologia, senza escludere i ghiacciai, i vulcani, le cascate, si mostra con una forza e una estensione impressionanti.
Le dodici nuove stampe lambda montate su alluminio e plexiglas si differenziano dal primo viaggio per la presenza persistente della figura umana che, se non completamente assente nel primo, si poteva davvero considerare marginale rispetto al ruolo occupato dal paesaggio. Se nel primo viaggio, infatti, l’ambiente era inequivocabilmente quello del deserto, in Imusmis2 la ricerca è incentrata sulla figura umana, o meglio sull’identità e al carattere spirituale. La Longo evoca richiami di culture distanti dalla propria ma appartenenti alla storia dell’umanità e alle origini universali con cui si identifica. Le immagini ricavate da reportages personali in paesi come il Turkmenistan e in zone alle propaggini del Mar Caspio, in terre percorse un tempo dal mitico Averroè o dedite al culto di Zoroastro, sono state ottenute con macchine “Hasselblad” e con pellicole “6 x 6”, senza disdegnare l’impiego del digitale o di scatti eseguiti nello studio.
Insomma, una fotografia che si è, almeno per ora, messa alle spalle la purezza per conseguire un’immagine pensata compositivamente, come un dipinto, al punto che ogni opera nasce da un sintetico schizzo a grafite, tracciato come uno studio preliminare. D’altronde, lo ‘studio’ è rivolto anche alla produzione dei costumi indossati in ogni foto dalla Longo, ai copricapi, ai sudari che danno il titolo a uno dei cicli in mostra e che sono indumenti ampiamente usati da numerose popolazioni appartenenti a culture mediterranee, di cui ad esempio la pittura manierista del Pomarancio ha già trascritto le fogge, immortalandole.
La sua nuova ricerca, compiuta tra il 2013 e il 2014, mostra un maggior coefficiente concettuale di carattere antropologico, rivolto al sacro, al rituale, al mitico. Così appare possibile riscontrare nei Sudari la memoria di drammatiche impressioni ricevute dalla Longo nell’osservazione di documentari e foto della recente tragedia libica in cui appare il linciaggio di Gheddafi o la morte cruenta di uomini scontratisi in quella rivoluzione come in altri paesi del Nord Africa, durante le recenti “primavere” del mondo islamico. Ma non si possono passare sotto silenzio anche i dispositivi di preparazione delle Metope, 2014, dietro i cui ribaltamenti di immagini si possono leggere in filigrana i mitici episodi delle “fatiche di Ercole” e di altre tracce del passato, della storia e dell’arte stessa, di cui la Longo, dopo aver usufruito di schemi compositivi o aspetti iconografici ne ha cancellato le tracce per realizzare infine il proprio lavoro. Un’opera ancora desiderante e in questo momento di carattere decisamente autoconoscitiva.