VENEZIA. Prosegue anche nel 2014, con la mostra fotografica Cham – Le danze rituali del Tibet, la collaborazione tra il Museo di Storia Naturale – Fondazione Musei Civici di Venezia, il fotografo Giampietro Mattolin e il giornalista Piero Verni, iniziata a gennaio 2013 con la presentazione del volume “Lung Ta Universi Tibetani – Tibetan Universes”. La mostra aprirà al pubblico il 14 giugno e rimarrà aperta fino al 24 agosto.
L’esposizione vuole essere un’introduzione al complesso mondo della cultura buddista, visto attraverso uno dei suoi aspetti più simbolici – le danze rituali eseguite nei monasteri himalayani di cultura buddista-tibetana. Ed il museo al Fondaco dei Turchi, da sempre “sensibile” a queste tematiche, rappresenta la sede più adatta ad ospitare questo progetto che promuove una suggestiva indagine attraverso lo straordinario spaccato di usi e costumi, spiritualità, antropologia ed etnologia di una delle popolazioni più affascinanti dell’intero pianeta.
Le sue collezioni permanenti custodiscono infatti preziose raccolte di grandi esploratori del passato alla scoperta di terre sconosciute: è il caso di quella etnologica del veneziano Giovanni Miani, frutto della sua prima spedizione alla ricerca delle sorgenti del Nilo (1859-60), o di quella etnografico-naturalistica di Giuseppe De Reali, messa insieme tra il 1898 e il 1929 durante le spedizioni di “caccia grossa” in Africa orientale ed equatoriale, o ancora, per venire al nostro tempo, dell’altrettanto straordinaria collezione prodotta da Giancarlo Ligabue, grande figura di esploratore moderno, durante i suoi viaggi in tutto il mondo.
Allestita al piano terra presso la Galleria dei Cetacei, realizzata con il coordinamento di Mauro Bon e Luca Mizzan, del Museo di Storia Naturale – Muve e visitabile con l’orario e il biglietto dello stesso museo, la mostra è composta da 52 pannelli stampati su tela ed è suddivisa in otto sezioni, così come le tematiche principali individuate dagli autori: La danza della mente, Cos’è un “Cham”, Dove quando perché, I danzatori, I costumi e le maschere, I personaggi, Musica e orchestra monastica, Il pubblico delle danze rituali. I Cham, ovvero le danze rituali eseguite dai monaci buddhisti e da quelli appartenenti al Bon, l’antica religione autoctona del Tibet, rappresentano uno degli aspetti più affascinanti e meno conosciuti della cultura tibetana; aspetto che per la ricchezza e la complessità dei suoi elementi simbolici è stato spesso non compreso e male interpretato in Occidente.
La policromia di costumi, maschere e ornamenti, i suoni profondi e drammatici degli strumenti musicali, la potenza simbolica dei movimenti dei danzatori e le stesse valenze archetipiche delle “storie meravigliose” raccontate tramite i cham – come scrive lo stesso Piero Verni, noto giornalista e profondo conoscitore delle civiltà orientali e delle culture indo-himalayane – sono comunicazioni che toccano con forza il cuore e la mente di quanti assistono alla sacra rappresentazione.
La maggior parte delle danze rituali viene eseguita pubblicamente nei cortili dei monasteri davanti a un gran pubblico che, a volte, giunge da luoghi distanti settimane o mesi di cammino. Tutte le fasi del cham sono scandite dal suono di un’orchestra monastica, la cui composizione può variare da cinque-sei elementi a oltre una ventina. Gli strumenti usati dall’orchestra sono per lo più i cembali (rolmo), i tamburi a manico (nga), le trombe telescopiche (dung-chen) e quelle corte (gya-ling). La danza rituale fa parte dell’addestramento interiore del praticante e comprende anche meditazioni, visualizzazioni ed elaborate tecniche di concentrazione.
Il Cham si può definire, sia pure con una certa libertà di linguaggio, una sorta di meditazione in movimento. Per suo tramite il danzatore – come appare chiaramente anche dalle splendide immagini immortalate da Giampietro Mattolin – aiutato dalla musica, da apposite preghiere e dal simbolismo dei costumi che indossa, entra in un rapporto diretto con la divinità che rappresenta. Infatti ogni danzatore esegue la danza di un ben preciso personaggio del pantheon tantrico e con esso stabilisce un legame profondo. Il monaco, grazie al potere del cham, “diventa” la divinità stessa, si identifica completamente e, tramite questa identificazione, ne acquisisce le qualità fondamentali raggiungendo così una superiore consapevolezza spirituale: è in questo stato mentale completamente purificato e trasfigurato che egli deve danzare. Attraverso la meditazione in rapporto alla divinità il praticante tantrico purifica dunque la sua intera struttura psico-fisica e quindi “protegge” quelle che vengono chiamate le tre basi: corpo, parola e mente.
Il percorso collaborativo tra Mattolin e Verni e con lo stesso Museo di Storia Naturale di Venezia, culminato nella presente esposizione, si propone di favorire la conoscenza dei tratti essenziali della cultura tibetana presso il più ampio pubblico, nella consapevolezza che l’eredità del Tibet appartiene non soltanto alle donne e agli uomini che abitano il “Tetto del Mondo” ma anche all’umanità intera.
Piero Verni, scrittore e giornalista, è tra i fondatori dell’Associazione Italia-Tibet di cui è stato il primo presidente. Profondo conoscitore delle civiltà orientali e delle culture indo-himalayane, da oltre vent’anni compie viaggi di studio e ricerca in India, Tibet e nella regione himalayana. Ha scritto una biografia autorizzata del Dalai Lama ed è l’autore del volume “Le terre del Buddha”, pubblicato dal Touring Club.
Giampietro Mattolin, viaggiatore e fotografo da più di trent’anni, ha conosciuto luoghi remoti in tutti i continenti attraverso innumerevoli viaggi. Privilegia gli “scatti” legati alle esperienze di viaggio, cogliendo l’essenza dei particolari nei paesaggi, nelle persone e nelle situazioni che ne sono protagoniste. Ha fondato l’Associazione “Heritage – oltre i confini” allo scopo di sensibilizzare e promuovere, con eventi culturali, l’interesse verso quelle minoranze etniche il cui patrimonio culturale rischia di scomparire.
Info: www.visitmuve.it