COSENZA. Oltre venti immagini in bianconero e una raccolta – intima e delicata – di fotografie Polaroid. E’ questa “Una ragazza senza borsa” la mostra di Gina Alessandra Sangermano e a cura di Loredana De Pace che, fino al 16 dicembre, sarà ospitata nella sede dell’associazione culturale L’Impronta.
Una ragazza senza borsa. Questo ha visto Leo nel novembre del 1987 quando per la prima volta scorse Gina che camminava nei pressi di Piazza Esedra, a Roma.
“Come fa una ragazza, bella come lei, con un incedere così deciso, a non avere un accessorio così femminile? Questo è stato il segnale che mi ha condotto a lei”, racconta Leo. Una donna solida, coraggiosa, creativa, casinista come poche, fragile e forte contemporaneamente, innamorata della vita, di Leo – divenuto negli anni a seguire suo marito – e della fotografia, delle forme espressive artistiche tutte.
Gina Alessandra Sangermano è stata una fotografa, un’autrice vulcanica di origine Calabrese, nata a Bisignano nel ’66, vissuta a Roma per molti anni e mancata nel 2007. La sua grande creatività le ha permesso di esprimersi attraverso la fotografia in primis, ma anche con altre forme d’arte, sperimentando e misurandosi sempre con nuove possibili forme espressive, dal design alla ceramica raku. Dal mondo dell’immagine, nel corso della sua vita ha preso tutto, ma ha anche dato tutto. In questa esposizione i suoi scatti ci condurranno alla scoperta del densissimo rapporto instaurato dall’autrice con il mondo e con se stessa, attraverso la fotografia. Questa mostra, fortemente voluta da Leo Scagliarini e realizzata grazie al prezioso contributo dell’associazione culturale L’Impronta di Cosenza, riporta Gina a casa sua, in Calabria. Non è la prima volta in assoluto che le opere di Gina sono presentate al pubblico, ma è sicuramente la prima volta che viene proposta in un unico corpus la sua poliedricità per mezzo delle immagini bianconero e di quelle a colori: con gli scatti bianconero, infatti, Gina ci parla della sua terra, dei volti e dei loro solchi sulla pelle. Racconta anche della sua malattia che le ha segnato il corpo con altri e più tristi solchi, portati e mostrati nelle immagini con grande dignità; narra di sé e del suo modo di guardare la vita per mezzo degli scatti formato 6×6 attraverso i quali cambia registro rispetto al 35mm (che adopera spesso), asciuga il suo linguaggio, si fa fotografa matura, sottolinea il suo esserci con pochi essenziali elementi. Complicata e sfaccettata com’era, Gina non ha trascurato il colore, che cercava attraverso le Polaroid. La mostra, quindi, dedica anche uno spazio ai pastosi cromatismi dei suoi scatti realizzati su pellicola istantanea. Le sue Polaroid saranno esposte nelle cornici scelte da lei originariamente e riprodotte appositamente per questa mostra con un nuovo editing che valorizza la produzione a colori di questa giovane autrice calabrese.
Gina Alessandra Sangermano nasce l’11 novembre 1966, a Bisignano (CS). È ultima di tre figlie. Nel paesello natale trascorre gli anni della fanciullezza, anni nei quali inizia a nutrire un forte interesse e amore per gli animali. Crescendo inizia a prendere corpo anche la parte ribelle, originale e curiosa del suo carattere. Dopo il conseguimento del diploma, a 19 anni decide di andare a studiare Psicologia all’Università La Sapienza di Roma. Gina desidera fuggire dalla Calabria… Roma è la sua seconda patria, incarna man mano le sembianze di terra adottiva. Malgrado la contrarietà iniziale dei suoi familiari, gli anni 1986-1987, sono i primi che trascorre come cittadina romana e studentessa di Psicologia, ma anche in questo contesto è presente il suo “doppio stato d’animo”: il rimpianto di aver lasciato i suoi cari e la terra natia e al contempo l’euforia per la nuova stagione di vita. È una ragazza indipendente che paga però a caro prezzo la sua emancipazione. Il 7 novembre 1987 conosce Leo Scagliarini, che diventerà poi suo marito. Nel 1993 comincia a interessarsi alla fotografia: usa la fotocamera reflex Nikon di Leo. L’anno successivo si iscrive a un corso di fotografia della durata di tre anni. Comincia a lavorare come fotografa e fa i lavori più disparati: matrimoni, convegni, ritratti, book per modelle, progetti di ricerca. Frequenta diversi workshop (Tano D’Amico, gomma bicromatata, procedimento “pittorico” di stampa fotografica), e compra l’attrezzatura per stampare in camera oscura. Nel 1996 diventa la fotografa del centro Differenza Donna. Scatta durante gli avvenimenti e i convegni del centro. Contemporaneamente comincia a sperimentare in camera oscura, acquista una fotocamera Pentacon 6×6. Frequenta il negozio di fotografia De Bernardis e l’associazione culturale Officine Fotografiche a Roma. Nel corso della sua attività scatterà molto in Calabria, ampia è la sua attività come ritrattista, fotografa molto anche durante i suoi viaggi. Nel 1998 acquista la sua amata Mamiya 6×6 con la quale realizzerà i progetti più maturi. Nel 2000 inizia la sua attività di insegnante di fotografia presso il centro diurno La Fabbrica dei sogni, al fine di inserire nel mondo del lavoro ragazzi con lievi problemi psichiatrici. Non smetterà mai di fotografare, ideare, documentarsi, visitare mostre, lavorare, provare altre forme d’arte come il design, le istallazioni, i dipinti, la produzione di oggetti d’arredo, la scrittura, la ceramica, il riciclo. Appassionata dei film sperimentali di Man Ray, lavorerà molto anche con la pellicola a sviluppo istantaneo Polaroid. Nel 2005 si ammala di tumore. Muore nel 2007.