La galleria romana Matèria ha inaugurato col botto portando in Italia “On Landscape #2” con i lavori fotografici di Dafna Talmor, Emma Wieslander e Minna Kantonen, fondatrici di On Landscape Project.
On Landscape #2 consente di approfondire e ampliare la ricerca avviata in occasione della prima edizione del Progetto (*On Landscape #1), favorendo così lo sviluppo di ulteriori riflessioni sulla rappresentazione del paesaggio in relazione a idee precostituite, tradizioni e convenzioni iconografiche frequentemente associabili a questo tema. La mostra sarà accompagnata dal testo critico di Francesca Orsi che vi proponiamo qui sotto.
di Francesca Orsi
On Landscape Project, ideato da Minna Kantonen, Dafna Talmor e Emma Wieslander, affronta un’approfondita ricerca concettuale e visiva sulle rappresentazioni del “paesaggio”, sulle evoluzioni che l’hanno portato fino alle sue spoglie contemporanee di “nuovi scenari del nostro vivere”.
Il progetto ha, in tal senso, lo scopo di manifestare visivamente il rinnovamento attuale di tali scenari che, oltre alla tradizionale lettura paesaggistica del vero e reale, trovano spazio anche nel campo dell’immaginario, innescando così un dialogo continuo tra il reale, l’immaginario stesso e il simbolico.
Arrivato alla sua seconda edizione, con la quale inaugura la nuova galleria Matèria di Roma, On Landscape Project si compone di un modello espositivo che, come è stato per la prima edizione nel 2014 a Londra, vede come fotografe le sue fondatrici Minna Kantonen, Dafna Talmor and Emma Wieslander, con tre differenti lavori sul tema; un guest artist, nel caso specifico della mostra romana Marco Strappato; e una rassegna di 44 libri sul paesaggio, selezionati da una giuria all’interno di un’open call indetta appositamente per la mostra e aperta a fotografi ed artisti internazionali.
Il progetto abbraccia, in tutte le sue forme espressive, una concezione di paesaggio che rispecchia la necessità rappresentativa di “luoghi altri”, di luoghi che attingono in parte dall’interiorità umana, di paesaggi anche utopici e idilliaci, di quelli che trovano il loro punto di forza nel labile confine tra realtà e finzione, tra artificiale e naturale.
“Constructed Landscapes” di Dafna Talmor si sofferma proprio sulla creazione di scenari immaginifici senza però perderne la valenza realistica, secondo una modalità rappresentativa meta-linguistica che fa diventare la fotografia stessa soggetto della sua indagine. Il lavoro della fotografa israeliana è un lavoro artigianale che la vede creare paesaggi, con spiccate sfumature pittorialiste, dall’accostamento di ritagli di negativi, creando una composizione ad hoc stampata poi in camera oscura. Ritagli appartenenti allo stesso rullino, su cui Dafna Talmor ha inizialmente documentato paesaggi di gran parte del mondo e che infine ha manipolato e decontestualizzato dalla loro resa originaria per dare vita a degli scenari complessivamente “di fantasia”, ma esistenti comunque in una realtà scomposta, scardinata e poi risistemata per diventare altro. Scattate caricandole di connotazioni personali e a volte politiche, le fotografie di Dafne Talmor acquisiscono dopo il processo di ricostruzione una sfumatura astratta, un profondo senso archetipico.
C’è molta magia in “Constructed Landscapes” e molta sperimentazione visiva, un mix che rende a pieno titolo il lavoro di Dafna Talmor una rappresentazione del paesaggio contemporaneo.
Cosa c’è di più romantico del tramonto? Quanto l’immagine del sole che cala fa parte dell’immaginario collettivo di ognuno di noi tramite l’uso che nel tempo ne ha fatto la produzione culturale? In quanti non si sono mai messi ad ammirare, romanticamente, il cielo rosseggiare e il sole perdersi nell’orizzonte? Emma Wieslander con “Wish You Were Here” delinea il “suo” paesaggio con un calibrato gioco percettivo ed evocativo. Come scrive lei stessa, il suo progetto si anima delle interrelazioni tra “il percepito, il rappresentato e il descritto”, usando l’indagine sul paesaggio come scusa per una ricerca che mette in relazione il mondo esterno con quello interiore.
Quello che sembra non è – pare dire la fotografa con il suo tramonto fatto da un pavimento sporco, un battiscopa e una lampadina appesa ad un filo – ma quando ci si accorge dell’illusione si può poi tornare indietro a quella visione generata dal sentimento e dalla mediazione culturale? Si riesce ancora a vedere “l’idilliaco” essendo consci della realtà delle cose?
Le sue immagini, seguendo questo dilemma, fanno leva sul già citato dualismo tra finzione e realtà, su come queste ultime possano trovare comunicazione in una sola immagine – in uno spazio e tempo che si estende però senza dimensione – senza stridere e anzi, alimentandosi proprio delle loro valenze contraddittorie, coesistendo.
Minna Kantonen con la serie “Urban Vistas” ci porta, invece, in un’ambientazione paesaggistica sicuramente più tradizionale, decisamente meno astratta rispetto a Dafna Talmor e Emma Wieslander. La fotografa finlandese si rende promotrice di una ricerca che trova le sue origini nel connubio delle strutture industriali e urbanistiche con la natura. Una coesistenza tra angoli verdi e blocchi di cemento e mattoni degna della migliore tradizione architettonica finlandese. Da Alvar Aalto a Eliel Saarinen, il pensiero nordico ha sempre ricercato l’armonia strutturale come sintesi di elementi opposti, dando all’architettura un volto più umano e attento alle esigenze dell’individuo. In “Urban Vistas” gli alberi trovano il loro sito in colline non di terra ma di ciottoli, su cui i segni dell’urbanizzazione proseguono indefessamente. In una specifica fotografia del progetto, un albero dal fastoso rigoglio di foglie, si trova a fronteggiare la sua mimesi artificiale, disegnata su di un muro che si estende lungo una fredda verticalità di cemento, in una sorta di sfida al confine tra due mondi paralleli.
Minna Kantonen punteggia la rappresentazione dell’apparato di cemento della città con brillanti oasi naturali che, nell’economia dell’equilibrio visivo del suo lavoro, rappresentano l’elemento di rottura con il paesaggio urbanistico tradizionale, con le sue geometrie fredde e razionali.
Per l’esposizione della seconda edizione di On Landscape Project la scelta del guest artist si è indirizzata su Marco Strappato, artista marchigiano che lavora a Londra, intento anch’esso a estrapolare dalla sua ricerca visiva un focus sul paesaggio e sulla sua rappresentazione. Con un approccio installativo Marco Strappato fa uso di fotografia, collage e tecniche digitali per addentrarsi nell’argomento, servendosi delle immagini appartenenti alla nostra cultura consumistica come punto di partenza, come motore del processo di manipolazione e rielaborazione che inserisce il risultato finale nel panorama dell’estetica contemporanea. Strappato attinge dal pentolone delle immagini che – tramite riviste, televisione e giornali – bombardano il nostro sguardo quotidianamente, riutilizzandole per aprire una discussione silente e critica con il fruitore sulla sua percezione del mondo, potenzialmente alleggerita dalle letture imposte dalla società. L’artista gioca con un immaginario precario, facendo sentire sempre in bilico il mondo visivo di chi guarda le sue opere. Non c’è certezza percettiva nel lavoro di Strappato, in un’estetica di continua evoluzione e alla ricerca di un disvelamento che faccia riflettere.
On Landscape Project comprende anche, come è stato per la prima edizione, così anche per la seconda, una rassegna di libri d’artista, autoprodotti o di bassa tiratura. Per On Landscape#2, 44 pubblicazioni ci danno una rappresentazione polivocale del paesaggio. L’apertura dell’open call a un raggio internazionale di fotografi ed artisti, ha reso possibile una prospettiva a volo d’uccello sul tema, un risultato che scardina la rappresentazione paesaggistica da ogni nazionalismo mettendone in mostra tutte le sue varie sfaccettature. Dalla riproduzione più intimista e personale a quella giocata su una delicata ironia, da quella che attinge al nostro background culturale come il cinema o la pittura a quella che invece delle immagini non se ne serve, fino a quella “documentaristica” e anche politica.
Una ricerca, quella di On Landscape Project, creata con l’intento di far porre certe domande sulla nuova percezione del paesaggio. Le risposte, lasciando spazio al libero arbitrio, saranno soggettive e personali, ma, per lo meno, la materia è atta a farle sollevare.