di Urs Stahel
BOLOGNA. Con la mostra “Industria oggi”, MAST presenta l’immagine dell’industria contemporanea nelle fotografie di ventiquattro artisti e fotografi moderni, proponendo una riflessione sugli interrogativi sollevati dalla rappresentazione visiva del paesaggio industriale odierno.
La fotografia industriale in senso classico è stata interessante fino agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, sin quando, cioè, la fotocamera professionale, il treppiede, i grandi riflettori e flash da studio, i preparativi minuziosi e una tecnica del ritocco ben congegnata sia sul negativo, sia sulla stampa, restituivano l’immagine precisa, eccezionalmente nitida dell’industria. E questo era il compito richiesto al fotografo industriale. Nei grandi stabilimenti esistevano appositi uffici dedicati alla comunicazione, con fotografi, ritoccatori, litografi incaricati di produrre una documentazione fotografica il più possibile perfetta.
Con le ristrutturazioni aziendali, i passaggi di proprietà, i controlli di gestione più rigorosi, negli ultimi trent’anni molte imprese non solo hanno gettato via tonnellate di storia per immagini, ma hanno affidato la propria documentazione fotografica a circoli amatoriali interni o alla velocità di fotografi esterni che usavano il piccolo formato. La conseguenza è stata un deciso peggioramento, una perdita di incisività della fotografia industriale; per qualche tempo è svanito ciò di cui andava fiera: la raffigurazione immanente di macchine, architettura, processi lavorativi e prodotti. Poi, la sempre maggiore invisibilità dell’universo produttivo, dovuta alla tecnologizzazione, alla digitalizzazione, alla delocalizzazione dell’industria pesante in paesi lontani dai salari più bassi, ha peggiorato la situazione.
Ma le industrie hanno continuato a lavorare e svilupparsi, hanno trasferito e velocizzato i loro impianti e processi produttivi. Oggi utilizzano nuovi materiali, nuovi dispositivi elettronici, nuovi procedimenti tra cui l’impiego della stampa 3D. Basta osservare il mondo nel suo complesso per accorgersi della coesistenza, a seconda della regione, della latitudine o del livello di sviluppo, di industrie e società preindustriali, industriali e postindustriali. Mentre in Europa, in un’economia basata prevalentemente sui servizi, le industrie sembrano ormai concentrarsi sulla ricerca, lo sviluppo e la gestione, altrove si continua a produrre a pieno regime. Ma l’influenza della produzione sulla società non è diminuita. Se ancora oggi possiamo ammirare immagini che informano e fanno riflettere sull’industria, non lo dobbiamo più ai pochi fotografi ancora rimasti all’interno delle aziende, ma agli artisti, alla particolare attenzione di fotografi spesso di impostazione concettuale che si interessano ai processi produttivi e al loro legame con la società. Grazie alle domande che essi si pongono in merito ai rapporti di forza e all’influenza dell’industria sull’uomo e la natura, ci continuano ad arrivare le immagini istruttive dal gigantesco, colossale universo della produzione.
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Con la mostra “Industria oggi”, il MAST presenta nella Photogallery, l’immagine dell’industria contemporanea nelle fotografie di ventiquattro artisti e fotografi moderni. Olivo Barbieri, per esempio, nella sua fotografia lunga sette metri raffigurante l’interno di uno stabilimento Ferrari, mostra come i capannoni siano ormai ambienti chiari, luminosi, arredati con grandi, verdi “piante da appartamento”, ma totalmente deserti; Henrik Spohler e Vincent Fournier ci guidano attraverso un mondo di dati e prodotti, un mondo sempre più invisibile in cui ormai solo i cartelli aiutano a orientarsi. Carlo Valsecchi fotografa impianti produttivi contemporanei come fossero sculture a tuttotondo di una “industrial fiction”. Trevor Paglen sembrerebbe prediligere la pura fotografia del cielo, se le molte strisce bianche non indicassero la presenza di orbite satellitari e sistemi di sorveglianza militare a elevata tecnologia. Nell’opera dal titolo “Tokamak Asdex Upgrade Interior 2”, Thomas Struth si occupa della ricerca tecnologica del Max-Planck-Institut, mentre Vera Lutter, nelle sue scure immagini stenoscopiche, continua a incentrare il proprio lavoro sull’oppressione, l’imponenza degli impianti industriali, mentre Miyako Ishiuchi documenta la centenaria produzione della seta in Giappone.
Anche nella nostra epoca postmoderna, postindustriale, altamente tecnologica, il possesso e l’uso dei mezzi di produzione e delle competenze creano molteplici disuguaglianze sociali. Se Jacqueline Hassink, Allan Sekula e Bruno Serralongue si occupano di interrogativi e differenze all’interno della società, Ad van Denderen e Jim Goldberg contrappongono alle bianche fabbriche vuote le variopinte, flemmatiche correnti migratorie. Ed Burtinsky mostra dove e come vengano riciclate le grandi navi da carico, mentre la fotografia di Sebastião Salgado ricorda che, accanto agli impianti automatizzati, esistono ancora aree del mondo in cui si produce sfruttando intensamente la forza lavoro.
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Info sulla mostra qui