AMSTERDAM. Il Foam, dal 20 dicembre 2013 al 12 marzo 2014, ha ospitato uno tra i più longevi protagonisti della fotografia americana targata New York, ovvero William Klein, rendendogli omaggio tramite un excursus attraverso i punti cruciali della sua brillante carriera.
Poco più che ventenne, dopo aver adempiuto agli obblighi di leva tra Germania e Francia, Klein decide di stabilirsi a Parigi e si iscrive alla Sorbona per dedicarsi all’arte. Attivo nel campo della pittura, scopre presto l’interesse per la fotografia, utilizzandola in primis come strumento per valorizzare maggiormente le sue opere d’arte. Ed è grazie ad una sua esposizione che viene notato ed assunto da Alexander Liberman, direttore artistico di Vogue. Ed è qui che ha inizio la sua vera e propria professione.
La mostra ha inizio con quattro monografie dedicate a quattro grandi città, sviluppate nella seconda metà degli anni ’50. Klein non può che cominciare con quella dedicata a New York (1954/1955), la sua città natale, e nasce in lui l’idea di realizzare una sorta di diario. Sei mesi di scatti e di osservazione, di analisi di una città in balia schiacciata in sè stessa, una critica al consumismo, al concetto di vendere-vendere-vendere dettato da un esasperante marketing visibile in ogni dove, critica erroneamente intesa come un sentimento anti newyorkese.
William esprime tutto questo disappunto catturando volti di bambini, lavoratori e passanti, scene al mercato, nei luoghi affollati, spesso ponendo l’attenzione anche solo sugli annunci pubblicitari piuttosto che le persone, in particolar modo esaltando numeri, lettere, caratteri. Particolare il suo tocco decisamente irriverente, senza un apperente schema stilistico, poco avvezzo a regolamenti. Di qualche anno dopo il suo corto Broadway By Light, un video di accusa sul consumo autistico di massa che si alimenta e si espande tramite la forza ipnotica e violenta delle luci.
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Su invito di Fellini per farsi aiutare nella regia di un film, Klein raggiunge Roma (1956) ed inizia a ripetere quello che ha fatto nella Grande Mela; i suoi scatti sono più popolari, nonostante si tratti ancora di una capitale, i soggetti hanno aspetti più caserecci, dai passanti presso l’edicola alla clientela del barbiere, dalla folla in trepidazione per il Papa, a scatti di celebrità presso Cinecittà. Rispetto a New York sembra di fare un passo indietro nel tempo, pur trattandosi di fotografie più recenti di qualche anno.
Volgendo lo sguardo a Mosca (1959/1961) ci si accorge subito che non si sta trattando più di consumismo, un paese decisamente più povero, immortala manifestazioni nella Piazza Rossa, o al Gorky Park, folle nella stazione metropolitana o allo stadio. Volti più induriti, ma forse anche più capaci di godere di poco, questo quello che si coglie dai volti sovietici.
A chiudere le monografie cittadine Tokyo (1961), la più variegata per le differenze soggettistiche coinvolte, dalla delicatezza delle fotografie delle cerimonie dei confetti o del tè, alla crudezza delle scene di strada, per concludere con scatti a rappresentazioni sperimentali di pittura su mura da parte di un combattente, con bendaggi intrisi di tempera.
La mostra prosegue con le creazioni astratte di Klein, si tratta degli inizi anni ’50 e le tele di Klein, che riprende oggettistica da casa, pannelli, divisorie, diventano veri e propri soggetti che smuovono l’autore a renderli rappresentazioni fotografiche, con lo scopo di dare maggiore risalto basandosi su giochi di colore e di prospettive, estrapolandone particolari, ed è proprio una di queste sue mostre che spinge Liberman ad ingaggiarlo per Vogue. Klein rimane colpito in particolar modo da un progetto di case realizzate da Mondrian nella regione olandese dello Zeeland, che lo hanno ispirato ad una reinterpretazione geometrica a colori invertiti.
Ma è con Vougue che Klein si fa letteralmente le ossa, sviluppa il proprio occhio per un migliore uso delle luci, usando alle volte espedienti fisici che alle volte rientrano nelle foto stesse, ad esempio gli specchi, amplificatori di luce e duplicatori di soggetti su diversi punti di vista. Dalle foto Klein mostra la sua abilità nel mostrare le modelle con una così formale eleganza, sia per strada, vicino a monumenti, ma anche semplicemente colte in posa per copertine. Soggetti che si attivano a protagonisti delle foto, capaci di esprimere rara bellezza.
L’ultima parte della mostra riguarda uno studio revisionistico fatto a partire dagli anni ’80 di suoi precedenti scatti. Si tratta di soggetti ripresi prevalentemenet in esterni, ambientati in città quali Parigi e Londra, ma anche cittadine statunitensi. Le foto sono gigantografie e Klein ne ricostruisce i frame, decorandoli con pennellate colorate lungo i bordi, ma anche nelle zone più interne, evidenziare soggetti, volti o dettagli più nascosti. Lavori iniziati anche trent’anni prima che riprendono una nuova vita, magari colore, e che possono portare un nuovo significato.
Presenti anche corti e clip principalmente a tematiche pubblicitarie, a chiusura di una precisa rappresentazione di quanto più interessante abbia realizzato Klein nei suoi più creativi anni.