LONDRA. Bailey’s Stardust è uno degli eventi più attesi dell’anno e fino al 1 giugno 2014 alla National Portrait Gallery si avrà l’opportunità di approfondire la carriera di David Bailey, il quale ha segnato profondamente il Novecento britannico (e non solo).
Prima di visitare questa mostra, avevo una certa idea di Bailey: gli anni Sessanta della Swinging London, il glam di Vogue… praticamente il protagonista di Blow Up di Antonioni. Visitando la mostra ci si rende conto, invece, che quella è solamente una piccola parte della sua carriera.
Proprio per l’ecletticità della sua produzione, la mostra è sviluppata per aree tematiche, da visitare nella sequenza che più ci aggrada. Io sono partita da un classico, l’area dedicata a Box of Pin-Ups. Nel 1965 viene pubblicata questa scatola contenente 36 ritratti di varie figure culturali dell’epoca (che erano anche amici di Bailey), tra cui gli attori Terence Stamp e Michael Caine, l’artista David Hockney, i produttori Andrew Loog Oldham e Brian Epstein, l’hair-stylist Vidal Sassoon, i fratelli Kray (famigerati delinquenti dell’East End di Londra), Jean Shrimpton, Paul McCartney, John Lennon, Mick Jagger (la famosa foto con il cappuccio in pelo), Brian Jones, Rudolph Nureyev, Cecil Beaton. Ad accompagnare le foto, la seguente affermazione di Francis Wyndham: “Nell’era di Mick Jagger sono gli uomini ad essere pin-up”.
Accanto troviamo la sezione dedicata a Democracy, scatti eseguiti tra il 2001 e il 2005, utilizzando un metodo “democratico”: tutti i soggetti posano completamente nudi, in una sessione di 10 minuti con sfondo bianco, stesse luci, a 6 piedi dalla camera 10×8; anche nella post-produzione non viene fatto nessun ridimensionamento o taglio alla foto. In questo modo è solamente il soggetto che può apportare delle variazioni. I soggetti ritratti sono tutti amici stretti di Bailey, tra cui spicca un uomo completamente coperto da tatuaggi e piercings.
Nella parete adiacente c’è Skulls, costituita da nature morte con teschi, con cui il fotografo vuole dirci che, una volta morti, tutti noi diventeremo opere d’arte. Successivamente abbiamo East End, dove Bailey vuole farci vedere le sue radici da Eastender: gli scatti in bianco e nero del 1961-62 sono testimonianze della zona est di Londra ancora devastata dai segni della Seconda Guerra Mondiale, con i bambini che ancora giocano tra le macerie; gli scatti a colori (per un servizio del Sunday Times del 1968) ci raccontano le facce tipiche (quasi del tutto estinte) dell’East End, tra pub, palestre di pugilato e bar. Una delle sezioni più interessanti è Andy e Dalì, dove gli scatti ci raccontano l’incontro dei tre a Parigi nel 1972. Sembra un vero balzo spazio-temporale il “selfie” con Andy Warhol a letto (ironicamente, la foto in questione si trova insieme agli scatti fatti con la camera del cellulare).
Bailey ha viaggiato molto e documentato tutto con le sue fotografie. Nel 2012 si reca a Nagaland, una regione dell’India, al confine con la Birmania, in cui vive una popolazione che ancora vive in modo ancestrale: hanno dilatatori e piercing e gli uomini negli scatti fanno sfoggio dei propri machete e fucili. Nel 1984, colpito dalle notizie che diffusamente giungono in UK della carestia e della guerra civile in Etiopia, decide di recarsi proprio in quella regione al confine con il Sudan e documentare tutto ciò che vede; le foto vengono esposte l’anno successivo all’Institute of Contemporary Arts di Londra. Contemporaneamente partecipa, con i cantanti Midge Ure e Bob Geldof, al progetto Band Aid e al mega-evento del Live Aid, il cui ricavato va tutto a questa popolazione in difficoltà.
Troviamo anche una sezione dedicata alla città di Delhi, dove il fotografo si reca molto spesso; la sua idea è quella di creare una storia fotografica della città durante il Ventesimo secolo. Tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta si reca anche in Australia e Papua Nuova Guinea, in cui trova anche delle difficoltà a farsi accettare dagli abitanti.
In Artists troviamo i ritratti di importanti artisti quali Man Ray, Francis Bacon, Richard Hamilton, Peter Blake, Damien Hirst e, anche, l’italianissimo Maurizio Cattelan. Una stanza intera è dedicata alla sua musa ispiratrice, la moglie Catherine, ritratta in moltissime vesti. Altra parte succosa è quella sugli amici Rolling Stones, con cui collabora anche per l’art work di alcuni dischi. 11×14 raccoglie gli scatti eseguiti con questo formato a vere icone viventi: Mick Jagger, Michael Caine, Ringo Star, Linda McCartney e John Lydon.
Altra parte importante della sua carriera è la collaborazione con Vogue negli anni Sessanta e una sezione intera è dedicata agli scatti riguardanti il mondo della moda, in cui Bailey seleziona personalmente le “ultimate ones”. Dichiara apertamente che i suoi soggetti preferiti in questo campo sono stati Kate Moss e Jean Shrimpton; accanto a loro troviamo Alexander McQueen, Yves Saint Laurent, Vivienne Westwood, Karl Lagerfeld, John Galliano, Grace Jones, Jerry Hall.
Un’ulteriore grande sessione è quella dei suoi classici scatti in bianco e nero fatti nel corso degli anni: Meryl Streep, David Bowie, Tina Turner, i Queen, Bob Marley, Marianne Faithfull, Bob Dylan, Beyonce, Brigitte Bardot, Demon Albarn, George Michael, Noel Gallagher, Phil Collins.
Se avete l’occasione di venire a Londra è davvero una mostra da visitare, è un ringraziamento al contributo che questa grande persona ha portato al mondo della fotografia.
In un mondo dove ormai tutto viene photoshoppato e rielaborato è importante tenere a mente una bella frase di Bailey: “It’s not the camera that takes the picture; it’s the person” (Non è la camera a fare la foto, è il soggetto).