REGGIO EMILIA. E’ un’occasione per scoprire la bella location di Palazzo da Mosto, appena restaurata e aperta al pubblico in occasione di Fotografia Europea ma anche l’occasione per misurarsi con la fotografia contemporanea e i suoi significati. Con “No Man Nature” Reggio Emilia si confronta con grandi nomi della fotografia e in occasione della kermesse di Fotografia Europea (fino al 26 luglio) a Palazzo da Mosto saranno ospitate opere di Darren Almond, Enrico Bedolo, Ricardo Cases, Pierluigi Fresia, Stephen Gill, Mishka Henner, Ange Leccia e Dominique Gonzalez-Foerster, Amedeo Martegani , Richard Mosse, Thomas Ruff, Batia Suter, Carlo Valsecchi ed Helmut Völter.
Il collante che le lega tutte sarebbe l’indagine dei fotografi rispetto al rapporto uomo-natura. Questo da diversi punti di vista, affrontando cioè gli aspetti storici, documentari, reportagistici della fotografia ma anche quelli prettamente più sperimentali.
Vediamone giusto alcuni.
La serie fotografica Night + Fog di Darren Almond -per esempio- si compone di fotografie al bromuro in grande scala realizzate nelle foreste morte della Siberia. Sono state scattate a Monchegorsk e Norilsk nel nord della Siberia, sopra il Circolo Polare Artico dove, tra il 1935 e il 1953, circa un terzo del milione di prigionieri confinati a lavorare nei gulag Sovietici, hanno estratto e trattato i materiali dei maggiori depositi del pianeta di nichel, platino, cobalto e rame.
Oggi Norilsk è una città chiusa. È sotto il controllo della Norilsk Nickel Company, che controlla anche i valori di mercato di questo metallo a livello mondiale. Almond ha trascorso più di cinque anni viaggiando tra le miniere di nichel di Norilsk.
[quote_center]A Norilsk ci sono le più grosse miniere di nichel del mondo. Esse producono, come scarto della lavorazione, la maggiore quantità di biossido solforoso del pianeta. Ci sono più piogge acide in questa città di 150.000 abitanti che in tutto il Nord America e il Canada. Gli alberi soffrono di qualcosa di simile al congelamento. Vi trovate davanti queste foreste di alberi morti, come bruciati, inseriti in un paesaggio che invece non è mai asciutto, il che risulta totalmente incongruo. [/quote_center]
Inizialmente l’interesse di Almond per la Siberia è nato dalla fascinazione che esercitò su di lui il poeta esule russo Joseph Brodskey e dalle immagini incantevoli di un naufragio nell’artico, dipinte da Caspar David Friedrich nel quadro Il mare di Ghiaccio. Benché questi aspetti estetici e formali possano essere ancora rintracciati nel suo lavoro, essi costituiscono un punto catalizzatore iniziale dal quale partire per raggiungere poi obiettivi più pertinenti: l’estrazione di risorse e altre attività umane, necessarie quanto, a volte, orribili, attivano processi e strutture che si annidano a loro volta, in strutture e sistemi ancor più vasti che arrivano a toccare aspetti geo- politici e geo- strategici. Almond sottolinea questo concetto attraverso il titolo Night &Fog, che fa riferimento al film Night & Fog del 1955 su Auschwitz,di Alain Resnais.
Adrian Searle, scrivendo sul Guardian, ha detto del lavoro di Almond:
[quote_box_center]“le foto degli alberi morti, i loro tronchi che sembrano segni neri contro il cielo bianco di neve color dell’acciaio. È quasi impossibile poter immaginare il colore o anche solo un barlume di vita in questo luogo. Tuttavia queste immagini hanno una loro definitiva calligrafica bellezza. Sono una sorta di rappresentazione della fine del mondo”.
Da Il diavolo nei dettagli, “The Guardian”. [/quote_box_center]
La serie Hackney Flowers ha preso avvio dall’ interesse di lunga data di Stephen Gill per il villaggio di Hackney nella Est London. Per realizzare la serie, Gill ha raccolto ad Hackney fiori, semi, frutti ed oggetti che in seguito ha fotografato nel suo studio e ri-posizionato all’interno delle sue fotografie, creando immagini effimere ed ottenendo come risultato finale scatti della zona di Hackney in cui sono presenti delle stratificazioni di diverse immagini. Alcune delle fotografie sono state in seguito sepolte nel villaggio dando luogo ad un loro deterioramento, molto evidente negli scatti successivi, volendo così sottolineare il rapporto di “collaborazione” dell’artista col luogo stesso.
La fotografia di Richard Mosse riesce a catturare bellezza e tragedia in contesti di guerra e distruzione. Mosse ha ripreso relitti di aerei nei più remoti luoghi del pianeta e in territori governati da Uday e Saddam Hussein ed ora occupati dall’esercito americano. La sua serie più recente, Infra, documenta l’andamento della guerra tra le fazioni ribelli e l’esercito congolese nella Repubblica Democratica del Congo.
La serie Infra è caratterizzata dall’uso di Kodak Aerochrome, una pellicola sensibile ai raggi infrarossi. La pellicola è in grado di registrare la clorofilla della vegetazione. Ne deriva che la lussureggiante foresta tropicale congolese si trasforma in un bellissimo paesaggio surreale di colore rosso e rosa. Mosse ha dichiarato durante un’intervista a The British Journal of Photography: “Volevo adattare questa tecnologia ad una situazione difficile, estremizzare le abituali convenzioni dei resoconti dei mass media ormai calcificati e sfidare così il modo tradizionale col quale si rappresentano questi conflitti dimenticati. Ho voluto fare un parallelo tra questa tecnologia di ricognizione militare e il suo uso nella fotografia per riflettere sul modo in cui la fotografia viene realizzata.”
Nel 2014 Mosse ha vinto il Deutsche Börse Photography Prize. Nel 2013 ha rappresentato l’Irlanda alla Biennale di Venezia con The Enclave, una videoinstallazione “immersiva “ a sei canali utilizzando una pellicola 16 mm a raggi infrarossi.
Come ha spiegato Mosse su CNN.com , l’opera costituisce un tentativo di portare “due parole opposte in collisione: il potenziale dell’arte a rappresentare storie talmente tragiche che nessun linguaggio può rappresentare e la capacità della fotografia di documentare tragedie specifiche e riuscire a trasmetterle al mondo”.
Infine, uno dei lavori più originali a Palazzo da Mosto è lo studio sulle nuvole.
La mostra Cloud Studies – The Scientific View of the Sky propone infatti sei sezioni dedicate alla fotografia scientifica sulle nuvole, dalla sua nascita negli anni Ottanta del XIX secolo fino alle immagini scattate dai primi satelliti meteorologici negli anni Sessanta e pubblicate sui quotidiani. Ciascuna delle sei sezioni illustra una prospettiva fotografica e scientifica diversa delle nuvole.