Spiegare ciò che significa e che contiene The Red Road Project non è affatto facile. Il progetto di Carlotta Cardana, fotografa di Verbania residente a Londra, non dipinge quello scontato ritratto della martoriata nazione indiano-americana, vittima di uno dei genocidi più sommessamente eclatanti della storia dell’umanità. Esso è un intricato affresco di ciò che significa essere Indiano negli Stati Uniti odierni, una ricerca incessante degli elementi della cultura sopravvissuti alla falce della stupidità umana.
Gli indiani rappresentano solamente l’1% della popolazione americana, la loro identità, la loro lingua, le loro tradizioni sono state quasi interamente cancellate dai tentativi di assimilazione subiti nel corso di questi ultimi secoli; segregati in riserve, sembrano (sopra-v-)vivere in un microcosmo pseudo-autonomocomposto da un tasso di disoccupazione altissimo, accompagnato da un’altrettanto enorme propensione verso l’abuso di alcool, la piccola criminalità ed uno dei più alti tassi di suicidio del Paese.
Eppure dagli scatti della Cardana non traspare cotanta sofferenza, v’è un velo di speranza nei ritratti dei protagonisti delle opere; una speranza tuttavia accompagnata da uno sguardo colmo d’alienazione, d’estraneità. Osservare le insegne delle strade (come la Sitting Bull St.) è un qualcosa che suscita sentimenti contrastanti, somiglia quasi a un trapianto in un corpo estraneo dove il rigetto è preannunciato. Alla stessa maniera impatta ai nostri occhi la bandiera statunitense immortalata dalla fotografa con un’insegna sottostante che recita “Holocaust Wound“, un segno? Una reminiscenza? Di certo un colpo da maestro dell’artista e un’immagine che difficilmente si cancellerà dalla mente di chi la fissa. Ulteriore arguzia si scorge dal contrasto di due fotografie con soggetto due giovani ragazze indiane, l’una, agghindata in abiti tradizionali, immersa sino alle ginocchia in un calmo flusso d’acqua, l’altra, vestita allo stesso modo ma meno vistosamente, appoggiata ad una fuoriserie che sembra esser stata approntata digitalmente da quanto risulta fuori dall’ambientazione.
Il messaggio che esce dagli scatti è dunque ambiguo di fronte all’ignoranza ed all’ottusità dello scrutatore «occidentale». Un individuo non avvezzo alla cultura degli Indiani d’America carpirà e capirà sicuramente una briciola di nonnulla dall’attenta operaimmortalatrice di Carlotta Cardana, troppo profonda per il casuale e comodo spettatore europeo. La speranza è che questo progetto si possa ulteriormente ampliare, perché si è raggiunto solamente un primo strato di coscienza.
La location: La mostra di Carlotta Cardana è stata esposta presso Fonderia 20.9, in via XX Settembre a Verona. un nuovo spazio di proprietà dell’associazione omonima, che, speriamo, potrà sopperire alla mancanza di un vero e proprio luogo d’incontro per appassionati di fotografia della città scaligera, da qualche tempo orfana del Centro degli Scavi Scaligeri.