MILANO. Trasgressione, infrangere il muro delle regole e abbattere le certezze della società, era questo il messaggio che si stagliava di fronte alla generazione Punk, simbolo di una controcultura di protesta, che dominò nella metà degli anni ’70 e continuò la sua evoluzione e diffusione per i seguenti ’80. Quarant’anni sono passati da quando creste, catene, pelle, colori sgargianti, simboli fuorvianti e soprattutto una musica rozza e potente, invasero dapprima il mondo anglofono per poi allargarsi a macchia d’olio in tutto il mondo; e per celebrare quest’anniversario la Galleria Carla Sozzani di Milano (Corso Como, 10) ospita una mostra fotografica che difficilmente si potrà rincontrare a breve nel nostro Paese. È questa l’occasione unica per gustarsi più di novanta scatti di grandi nomi quali Simon Barker (SIX), Karen Knorr, Oliver Richon, Dennis Morris, Jamie Reid, Sheila Rock, Ray Stevenson e Joe Tiberi.
La mostra “Punk In Britain“, accessibile dal raffinato Corso Como (vicino alla stazione Garibaldi), è situata ai piani alti di un elegante edificio milanese ed è disposta in una delle sale dove l’allestimento, per lo più monocromatico, s’incastra alla perfezione con le fotografie scelte e con delle pennellate di un vivace colore che fuoriescono dalle tele e dallo storico murales piazzato in calce alla mostra. Man mano che si attraversa il percorso espositivo si ha la sensazione di tornare indietro nel tempo, quando la musica dei Sex Pistols, fra i protagonisti della rassegna, accompagnava lo sfogo dell’ideologia punk, dove l’intelletto pogava sull’aggressività e sfociava nell’originalità di un pensiero unico, capace di asservire milioni di giovani in tutto il mondo.
Sono le immagini che interloquiscono con l’osservatore, lo sottomettono alla memoria, quei ricordi di chi ha vissuto quel periodo di libertà e protesta, e di coloro che l’hanno ereditato, subendone l’inevitabile fascino. Ed è davanti alle prime opere di Jamie Reid, nome legato tanto ai Sex Pistols quanto alle sue rielaborazioni dell’immagine di Elisabetta II d’Inghilterra, che guardandosi intorno, all’indirizzo dei visitatori, si scorge il solco generazionale degli avventori, questo a dimostrazione che il Punk non è morto, è solo assopito, pronto a ridestarsi.
Sono i collage dello stesso Reid, ad esempio quel “We Don’t Care About The Music” che enfatizza il messaggio dominante sulle note delle composizioni, oppure i colorati scatti di Simon Barker, membro del Bromley Contingent e testimone dell’espansione di quella cultura in Gran Bretagna, a documentare quello stile di vita “da due soldi”, fatto di camicie strappate e borchie comprate da SEX, il negozio di Malcom McLaren, ideatore, assieme alla moglie, la stilista Vivienne Westwood, dei Pistols. È difatti la moda, l’immagine, a prevalere nelle fotografie di Ray Stevenson, immortalatore di miti come David Bowie e Jimi Hendrix, e di Karen Knorr, tedesca di nascita e portoricana d’adozione, con delle missive d’impatto, come quel “Destroy London”, inciso sul retro di una giacca di pelle.
“I wanna be Anarchy, in the City” gridavano i Sex Pistols, quel gruppo che fu portavoce dell’intero movimento britannico, soprattutto nelle figura di John Joseph Lydon, ovvero Johnny Rotten, colui che si dichiarava l’anticristo in ‘Anarchy In The UK’, e del bassista Sid Vicious, che nella mostra sono presentati negli scatti forse più belli e rappresentativi del percorso espositivo, quelli di Dennis Morris e di John Tiberi.
Ma quel che resta maggiormente impresso è forse il murales, un enorme agglomerato di immagini e parole in riferimento ai Sex Pistols, ma non solo, che riassume un’epoca tanto provocatoria quanto fondamentale dell’era contemporanea.