Il Si Fest Off noi di Mammoth’s lo amiamo un po’ da quando è nato; da quando le sue mostre allora trovavano spazio in giro, nei negozi sfitti di Savignano sul Rubicone.
Festival indipendente o fratello minore del Si Fest Festival, come lo preferisce chiamare, il circuito off ha dato sempre la possibilità ad artisti e fotografi non conosciuti di poter esporre accanto a grandi nomi, facendo conoscere i loro progetti a un vasto pubblico interessato. E per alcuni l’off è stato un vero trampolino di lancio.
Ad ingresso gratuito, poi, permette a tutti, anche ai soli curiosi, di avvicinarsi in un modo o nell’altro al mondo della fotografia. Una cosa bella se ci si pensa.
In questi anni l’Off di certo è mutato, ha sperimentato al di là della fotografia puntando anche su installazioni, ha cambiato rotta e gli spazi che si sono concentrati quasi tutti in un’unica sede principale, Palazzo don Baronio. Le mostre? Alcune vincenti, altre un po’ meno, dipende dai gusti. Ma certo è che l’Off in questi anni è cresciuto e si è fatto le ossa.
Di anno in anno, nonostante qualche pecca, il festival ha comunque sempre portato qualche fotografo che ancora oggi ti rimane in testa. Ed è sempre bello salire le scale di palazzo don Baronio e andare a scoprire nuovi talenti.
Ma a parte questa premessa, adesso passiamo a vedere cosa ci ha proposto questa edizione. Il tema? L’identità.
Vi ricordo che noi il festival l’abbiamo visitato lo scorso week end, nel corso dell’inaugurazione, ma è possibile scoprire le mostre del circuito off anche oggi e domani (22 e 23 settembre 2018).
Tra le cose più belline di quest anno, che è anche poi la novità di questa edizione, lo spazio dedicato alle fanzine, dummy e riviste dedicate al mondo della fotografia e dell’arte. Con una mostra al secondo piano del Palazzo dei fotografi Alice Caracciolo – Cemre Yesil, Chan Hong Yui Clement,
Jan McCullough, Barbara and Ale, Nicola Domaneschi – Marco Verdi.
Mi è piaciuto poi molto il progetto che Carlotta di Lenardo ha dedicato al nonno – Grandpa Journey – un lavoro che è nato aprendo i suoi archivi fotografici, creando una sorta di connessione tra presente e passato.
Bello anche il lavoro di Adriaan Kuntz sui ragazzi migrati a Berlino in cerca di possibilità lavorative e artistiche mentre in Beedroom Tales Jacopo Paglione ha svolto un’indagine sulla generazione Y, tra i nati nel 1980 e 1995, criticata per essere pigra e poco incline al lavoro.
Rimanendo in tema ‘stanze’ con Welcome to my Room Sara Lorusso ha mostrato le stanze dei ragazzi di 18-25 anni che si esibiscono in spettacoli pornografici in webcam determinando come Internet si sia introdotto nelle nostre vite.
Uno dei progetti che ha coinvolto moltissimo i visitatori, facendoli riflettere, è stato di certo A Day of Selfie di Costantino Forte che ha presentato un ‘mattone’ di selfie scattati in sole 24h e pubblicati su Instagram.
Rimando in tema smatphone Giada Pasini fa un’analisi di come l’uomo si rapporti agli elementi digitali così come il collettivo Cono che prova a far tornare al rapporto fisico, lontano dallo schermo a cui ogni giorno siamo sottoposti.
In mostra anche il progetti di E.G.o. che ci chiede di risolvere l’interrogativo ‘essere o non essere’ e di Francesca Fiorella che si ispira alla narrazione mitologica per raccontare il viggio personale e fisico di un moderno Enea.
Vladimir Bertozzi ricrea il fenomeno della sincronicità dal punto di vista visivo partendo dall’elemento ‘acqua’ mentre Prune Phi svolge un’indagine sociologica sulla cultura vietnamita, tenuta viva dalle generazioni più vecchie e dimenticata da quelle attuali.
E ci avviciniamo verso la fine ricordano i progetti di Alessandra Carosi che ha restituito valore semantico agli scarti urbani abbandonati dai cittadini; di Luigi Stranieri che parte da un bigliettino scritto da sua figlia per capire come le sue scelte abbiano influito sulla vita degli altri e di Giusi Bonomo che ritorna a riflettere, facendo suo il concetto di maschera, su come il web e i social abbiano inciso sull’identità.
E poi Edoardo Serretti che indaga sull’identità rapportandola a spazi fisici e online, dialoghi e moltiplicità dell’essere; il collettivo Optim’Art che ritorna sul concetto di rete e cyberspazio fino ai progetti di Valentina Vannelli e Camille Hofgaertner che indagano sull’interiorità delle persone, focalizzandosi sulle linee percorse da ognuno.
Insomma, una bella serie di mostre da cui trarre spunto e far partire riflessioni.
Tra le note positive anche gli allestimenti e la voglia di sperimentare e il grande impegno che gli organizzatori e i volontari ci mettono ogni anno credendo nelle forti potenzialità di questo circuito.
Ottima infine, da grandissima amante degli animali, la possibilità di portare i nostri amici a quattro zampe. Un modo di condividere non solo l’esperienza ma anche di vivere più sereni e vedere in tutta tranquillità la mostra, senza pensare al nostro cucciolo all’esterno, in attesa del nostro arrivo.