Giubbino rosso, un fiore di cartapesta d’un rosa acceso tra i capelli, due occhi gonfi dal pianto completamente struccati. Di certo questa sarà una delle fotografie che mi faranno ricordare questa edizione del Si Fest 2018 festival fotografico a Savignano sul Rubicone.
A scattare questo intenso ritratto di un ragazzina russa è Carolyn Drake (in mostra a Palazzo Martuzzi, Sala Allende) per un progetto realizzato, tra il 2014 e il 2016, all’interno di un orfanotrofio che ospita giovani con disabilità. Un progetto che sa di favola seppur tratti invece un tema vero e di attualità. Che ci affascina e subito dopo ci fa riflettere, coinvolgendoci con empatia nelle sue fotografie. Un tema delicato affrontato in un modo diverso dal solito che non può non piacere e lasciare stupiti.
A conquistarmi quest anno anche Francesco Levy (in mostra al Consorzio di Bonifica). Quello esposto è un viaggio autobiografico raccontato attraverso le storie della propria famiglia. Una sorta di diario dove le parole lasciano spazio alle immagini. Ma non aspettatevi le solite foto di famiglia, quello di Levy è un progetto nuovo, dove le storie sono state fonte d’ispirazione per le fotografie.
Rimanendo in Bonifica troviamo Filippo Venturi con il suo Korean Dream. Lui, vincitore del Premio Portfolio Italia 2017, ha portato a Savignano le immagini di Paese controllato, rigido (anche nella libertà di espressione) in cui tutte le situazioni, anche quelle più abituali, sembrano svolgersi solo dopo un rigido controllo.
Tra le altre mostre in Bonifica anche il racconto della città di Rawabi restituito da Andrea e Magda (vincitori del Premio Pesaresi 2017) che hanno costruito un futuro utopico attorno alla città. E poi l’installazione di Paolo Ciregia sul conflitto ucraino del 2014 e di Spela Volcic che ci porta a diffidare del nostro sguardo. E il lavoro di Giulia Mangione che è andata alla ricerca della felicità cercando di capire perché i danesi sono definiti (secondo diversi studi) il popolo più felice del mondo.
Conclude poi il percorso alla Bonifica Index G di Piergiorgio Casotti e Emanuele Brutti sulle aree metropolitane degli Stati Uniti in cui è in atto una ‘nuova’ forma di segregazione in cui la differenzazione razziele non avviene più per quartieri ma in macro aree geografiche.
Lucie Kahahoutian gioca con la cultura occidentale contemporanea e i radicati riferimenti alla tradizione armena e al Monte di Pietà mette in scena un matrimonio fittizio che, se reale, potrebbe portare alla follia se si seguissero le regole religiose e tradizionali. A Monte di Pietà anche Ina Lounguine con un progetto che indaga a fondo il concetto di razzismo.
E poi si arriva a Max Pinckers, alla Vecchia Pescheria. Sua l’immagine simbolo di Si Fest 2018 per un progetto che mischia realtà e finzione tramite sei storie differenti. Un confine labile, da cui possono nascere fake news, ma che ci fa capire quanto sia facile cadere nel tranello delle notizie false.
Tra le mostre più attese quella di Richard Renaldi (in mostra alla galleria della Vecchia Pescheria). Un lavoro autobiografico, dei momenti più intimi della sua vita, tra scene quotidiane, nudi, esplorazioni corporee. Un percorso di autoanalisi per lui e di riflessione, sull’essere giovani e la crescita, per noi.
Insomma, tirando le somme questa edizione 2018 ci porta tante sorprese. Cambia la direzione artistica e la visione d’insieme delle mostre. Si punta molto sui giovani (sì, per noi anche chi ha passato gli anta è ancora giovane), su progetti inediti, su grandi temi ma si lasciano a casa i grandi nomi. Un po’ questa scelta piace, è di certo coraggiosa e di respiro europeo. E un festival che ha una vita così lunga può permettersi questo balzo nel futuro.
Questa era l’edizione dell’innovazione. E la promessa è stata mantenuta.
E adesso siamo curiosi di vedere le prossime edizioni.