“The Self-portrait and its Double” è il titolo della mostra di Vivian Maier a Trieste, al Magazzino delle Idee. Una mostra in anteprima nazionale, realizzata assieme all’Ente per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia, diCHroma photography di Madrid, John Maloof Collection e Howard Greenberg Gallery di New York.
Vivian Maier la mostra a Trieste
La mostra – di cui puoi leggere un report – racconta Vivian Maier attraverso 70 autoritratti, di cui 59 in bianco e nero e 11 a colori, questi ultimi inediti e mai esposti prima. A cui si aggiungono dei filmati SUPER 8mm.
I temi ricorrenti e spesso catturati dall’autrice sono il mondo dell’infanzia, i quartieri operai, gli interni ma soprattutto la vita delle strade di New York e Chicago.
Specchi, giochi di ombre e riflessi: sono tutti elementi che descrivono la dualità che tormentava la personalità dell’autrice, divisa tra l’accettazione della propria condizione e la ricerca di sè stessa.
Fotografare per Vivian Maier era un vero e proprio bisogno: un modo per conquistarsi un posto nel mondo.
E’ rimasta nell’anonimato fino al 2007, quando il suo archivio fotografico è venuto alla luce grazie ad un acquisto da parte di John Maloof. La produzione fotografica dell’autrice consta di oltre 120mila immagini di cui l’autrice ne stampò circa cinquemila in una camera oscura realizzata in un bagno, mentre era ospite come bambinaia da una famiglia.
Una bella scoperta che l’ha resa celebre attraverso il documentario “Finding Vivian Maier”, film di Maloof e Siskel.
Vivian Maier decise di scegliere il mestiere di bambinaia in parte perché le possibilità della vita si presentavano precarie ed in parte perché poteva disporre del suo tempo libero per fotografare, riprendere e studiare la fotografia ispirandosi spesso ai fotografi umanisti del tempo come Doisneau, Herwitt, Arbus a Frank.
Quando i suoi protagonisti provenivano dai ceti poveri, consentiva loro una certa distanza; quando invece i soggetti appartenevano all’alta società intenzionalmente li disturbava con delle sue azioni facendo in modo che nello scatto venissero ritratti infastiditi.
Le immagini a colori presenti in mostra, sono realizzate a partire dagli anni ’80 con una Leica: una fotocamera leggere e facile da portare. Le foto sono scattate direttamente a livello dell’occhio, a differenza della Rolleiflex che usava per il bianco e nero. Le immagini sono particolarmente giocose e trasmettono una terminologia fotografica della realtà singolare. La Maier qui si diverte, e come afferma la curatrice, ci si ritrova un pò nell’ossessione fotografica di Eggleston: dettagli di colore contrastanti, difformità multicolore alla moda e la libertà di particolari brillanti.
Qui sotto, nel video, Anne Morin, curatrice della mostra, ci ha raccontato qualcosa in più sull’esibizione.