Tugnoli, Sanchez e Meloni: storie di guerra e fotogiornalismo a Padova

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Tra le mostre da non perdere all’Imp 2021, il festival di fotogiornalismo di Padova, c’è di l’esposizione collettiva dei fotoreporter Lorenzo Tugnoli, Diego Ibarra Sanchez e Lorenzo Meloni.

Si trova alla Galleria Civica Cavour, in centro a Padova, a pochi passi dalla mostra dedicata a Tony Gentile. È forte e non lascia indifferenti davanti alle storie del mondo. Fotografi accomunati dalla sopravvivenza emotiva e fisica nella turbolenza dei conflitti che, sebbene siano distanti da noi, ci mettono sempre di fronte a quanto dobbiamo considerarci privilegiati delle nostre vite.

imp 2021 festival fotogiornalismo padova galleria cavour
© Francesco Gozzi

Accompagnati dalla luce estiva, si scendono le scale e si entra nel white cube allestitivo. L’atmosfera cambia e il bianco delle pareti attira l’attenzione portandola sulle immagini a colori. Ci avviciniamo.

Contemplare è fuori luogo e sentirsi coinvolti altrettanto. Per cui mettiamo da parte l’ipocrisia e cerchiamo di leggere queste immagini in funzione di quello che non possiamo comprendere. Un po’ per mancanza di esperienza e un po’ perché la vita non è uguale per tutti.

imp 2021 festival fotogiornalismo padova galleria cavour
© Francesco Gozzi

Lorenzo Tugnoli in ‘Collateral Damage’. Che differenza fa nascere nella parte del mondo sempre in rivolta?

Fa una enorme differenza.

Innanzitutto, la fortuna di non dover vivere in perenne tensione per sopravvivere. E poi perché scappare, a volte, non è altro che la soluzione più concreta per evitare la morte o molto più semplicemente, per aggrapparsi alla vita e pretendere di più da lei.

Chissà perché nel nostro immaginario da “oltre confine” pensiamo che ci si svegli al mattino e si fugga dal proprio mondo che è stato fino a quel momento costruito con attenzione e con cura. Quello che fa un qualsiasi individuo sulla propria terra, compresi gli indigeni: costruire una vita di soddisfazioni, di affetti e di serenità. Tutto questo nei propri valori, nel proprio credo e nella propria cultura.

Le immagini di Lorenzo Tugnoli dal titolo “Collateral Damage” – fotogiornalista rappresentato da Contrasto, vincitore del World Press Photo 2020, del Premio Pulitzer 2019 e residente a Beirut – ci riportano dentro a quelle storie che ci sono famigliari nei nostri telegiornali, tra due forze opposte vecchie come la storia del mondo: accogliere o no i migranti? Dare o meno una chance alle loro vite? 

Due anni fa, nel 2019, l’ennesimo colpo di Stato in Libia. Il comandante ribelle Khalifa Haftar provoca un’offensiva per far cadere il governo in carica supportato dalle Nazioni Unite a Tripoli. Scoppia una guerra civile e una nuova crisi umanitaria incombe. In mezzo al tumulto, libanesi e migranti, tra il ritorno di uno Stato islamico estremista e la Russia che vuole riconquistare l’influenza sulla regione. Il racconto dei migranti africani è lì, in mezzo all’impossibile fra torture e privazioni, bloccati ora al centro di una nuova guerra.

La traversata del Mediterraneo per oltre 10.000 migranti era andata quasi a buon fine eccetto poi essere rispediti indietro dopo l’applicazione delle politiche restrittive anti-migratorie. Come sappiamo l’Italia è un punto di approdo e anche il nostro Paese da anni spende milioni di euro per fiancheggiare la guardia costiera libica e i centri di detenzione per migranti. Luoghi, questi molto più vicini ai lager, ad “un inferno senza scampo”, in cui i migranti sono destinati a vivere – secondo l’organizzazione Human Rights Watch – “in condizioni intollerabili e degradanti, esposti al rischio di torture, violenze sessuali, estorsioni e lavori forzati”. 

imp festival fotogiornalismo padova 2021
© Francesco Gozzi

L’indagine, a tal proposito, di questa vita fatta di tentativi e di rischio, è accompagnata sempre dall’incognita del riuscirci o meno. Una fotografia significativa in cui non c’è molto da interpretare. L’immagine scattata da Tugnoli nel centro di detenzione Al Nasr è del 2017.

Ce lo dice l’autore chi sono: un gruppo di migranti fermati al mattino dalla Guardia Costiera Libica. Solitamente partono dalle coste col buio notturno ed il viaggio può durare da una notte ad alcuni giorni.

Il viaggio porta delle conseguenze indelebili: dalle bruciature alle allergie da contatto prolungato del gasolio o altri liquidi che si creano al fondo del gommone. Spesso i vestiti che indossano, una volta salvati dal mare, vanno cambiati a causa del loro danneggiamento.

Questo è il motivo per cui nell’immagine, in primo piano, vediamo alcuni di loro privati degli indumenti completi, intenti a mangiare quel poco di cibo tra un misto di rabbia e scoraggiamento nella luce che entra dalle finestre che rende il tutto più surreale. 

imp festival fotogiornalismo padova 2021
© Francesco Gozzi

Diego Ibarra Sanchez. Cosa succede quando la violenza sopprime la scuola?

Diego Ibarra Sanchez in “Hijacked Education” ci spiega come la violenza, un trauma permanente, distrugga decenni di investimenti e risultati in uno delle forze più intense di sempre, l’istruzione. Sanchez ha una posizione molto critica sulla produzione e utilizzo dell’immagine. Afferma, riferendosi alla nostra epoca, che questa è “un’era lobotomizzata dal turismo sulla sofferenza altrui”. Con questo, nella sua pratica da fotogiornalista, vuole sollevare domande e creare dibattito critico. 

Le fotografie realizzate per Hijacked Education hanno avuto inizio in Pakistan nel 2012, ma si susseguono in altri Paesi come Siria, Iraq, Libano, Colombia, Ucraina, Afghanistan e definiscono una realtà. L’altare della scuola distrutto e lasciato al suo destino. La sapienza persa: insegnanti e studenti in esilio, i bambini soldato, la tristezza dei rapimenti degli allievi – come spesso sentiamo ultimamente – e l’angoscia degli stupri perpetrati in un ambiente che dovrebbe da sempre essere di protezione. Questo è il prodotto della guerra, tra prevaricazione e interessi economici. Un confronto fisico e metaforico che ora analizziamo visivamente.

Poi c’è l’aula di una classe, con un numeroso gruppo di ragazze coperte con il loro abito religioso. La loro attenzione è tutta focalizzata sull’insegnante: una figura rafforzata dalla luce d’entrata della finestra come fosse vicino al divino. Intuiamo essere la classe d’inglese: le parole scritte sulla lavagna ‘parts of speech’, il cartello di ‘welcome’ come a ricordare che la scuola non ripudia mai nessuno e poi dei cartelloni di promemoria legati all’insegnamento. L’ora di lezione è tutta in questa immagine, dignitosa e come una bandiera bianca. L’universalità di un desiderio, quello di imparare e di costruire un proprio futuro, è l’erotica dell’istruzione.

imp festival giornalismo padova 2021 Diego Ibarra Sanchez
© Diego Ibarra Sanchez

Accanto a questa immagine la mano di un piccolo studente poggiata sul muro di una stanza scolastica. La scuola divelta da un attacco talebano e i resti di ciò che rimane. Siamo in Pakistan, Swaibi nel 2013. Una metafora in contrapposizione: quella del bambino, di un mattone nel futuro e quello dell’adulto, di distruzione. 

Poi c’è lei, una ragazzina con una lunga treccia, seduta che contempla il tramonto. I colori e la luce la rendono ancora più dolce. Per noi è una scena quotidiana, ma per lei è un solo attimo di serenità, tra impotenza e speranza, confusa e sola come potrebbe sentirsi chiunque in una situazione di fragilità. La didascalia ci fornisce i dettagli. ‘È una rifugiata sunnita nel Campo Profughi di Dibaga. Il conflitto ha provocato delle profonde cicatrici sulla psiche dei bambini e ha vanificato più di due decenni di sviluppo di diritto dell’istruzione’. 

Ciò che Sanchez vuole denunciare è quello che rimane dopo la brutalità e la ferocia, di qualsiasi forma. Una frattura permanente nell’animo umano che neanche la scuola può sanare. Afferma l’autore “La guerra non finisce con l’ultima pallottola, o con l’ultimo bossolo vuoto, o quando la bandiera viene alzata. Le ferite aperte della guerra scrivono con il sangue il futuro di milioni di ragazzi”. Un monito alle nostre coscienze. 

imp festival fotogiornalismo padova 2021
© Francesco Gozzi

‘We don’ Say Goodbye’ di Lorenzo Meloni

L’indagine fotografica di Lorenzo Meloni è riconosciuta per il linguaggio tagliente sui conflitti nel Medio Oriente. L’auto-proclamazione del Califfato è del 2014 e Meloni da allora ne racconta i conflitti, le occupazioni territoriali e la perdita di controllo nei luoghi che cercava di assediare. Il fotografo ha avuto l’opportunità unica di documentare cinque battaglie nelle città di Kobane, Palmyra, Sirte, Mosul e Raqqa. Ognuna di queste cinque città rappresenta un significato diverso della guerra dello Stato Islamico che coinvolge tutto il mondo.

Meloni arriva a queste immagini rischiando letteralmente la propria vita. Non è una frase fatta dal rischio della professione ma è un esperienza oggettiva. Nel 2015 viene rinchiuso in una cella a Bengasi, per più di 48 ore privato di acqua, di cibo e della possibilità di andare in bagno.

Con un cameraman della BBC, Meloni voleva entrare a Bengasi per tallonare gli scontri tra l’esercito regolare di Tobruch, guidato dal generale Khalifa Haftar, e i gruppi islamisti presenti sul territorio, tra cui Daesh, Ansar al-Sharia, 17th February Martyrs Brigade e Libya Shield 1. Nonostante i permessi necessari ottenuti, affidandosi ai parlamentari di Tobruch, il viaggio va storto e vengono imprigionati dai combattenti di Daesh o Ansar al-Sharia e rischia di essere ammazzato insieme al collega.

In un’intervista sull’Huffington Post, pochi giorni dopo l’arrivo in Italia, il fotografo afferma: “In quei giorni ho vissuto sulla mia pelle cosa è davvero la Libia. Un luogo in cui ognuno fa come gli pare, ogni milizia è in lotta con l’altra e il governo no, non ha alcun potere”.

imp festival fotogiornalismo padova 2021
© Francesco Gozzi

Cosa raccontano le immagini di Meloni?

Significativa è l’immagine che rappresenta la copertina di questa parte di esposizione: la distruzione da parte dello Stato Islamico del sito archeologico di Palmyra. Il luogo ha subito gravissimi danni sistematici già nel 2013, durante la guerra civile siriana da parte del gruppo terrorista ed è stata riconquistata nel 2016 dalla Siria. Meloni è uno dei pochi professionisti ad andarci nell’aprile 2016 per catturare in fotografia la liberazione della città da parte del regime siriano e dei suoi alleati.

Nell’immagine, infatti, vediamo i soldati dell’esercito siriano che vittoriosi stanno in piedi sopra le macerie di fronte a una sezione di un portico. È tutto ciò che resta del Tempio di Bel dell’antica Palmira, una distruzione nella distruzione: quella dovuta agli agenti della storia e quelli dovuti purtroppo alla funesta azione intenzionale dell’uomo contemporaneo. 

Un paesaggio kafkiano è ben visibile in un’immagine a metà tra guerra e ignoto. I combattimenti dell’IS, acronimo che definisce l’esercito dello Stato Islamico che conosciamo come Islamic State of Iraq and Syria (ISIS), hanno dato fuoco ai giacimenti petroliferi vicino a Qayyarah per evitare attacchi aerei della alleanza. La cittadina irachena è situata nel sud del Governatorato di Ninive, sulla riva occidentale del fiume Tigri e a circa 60km di Mosul. Questo territorio è considerato il gioiello della corona dei jihadisti.

E poi, un’immagine che in parte collega e conclude il nostro racconto. Civili, Uomini e donne, padri e madri con pochissime cose, bambini in braccio costretti a fuggire da Mosul.

imp festival fotogiornalismo padova 2021
© Francesco Gozzi

Insomma, una mostra (anzi tre) da non lasciarsi sfuggire.

Terry Peterle
Terry Peterle
Nell’ambito della fotografia il suo interesse e i suoi studi si sono rivolti prevalentemente nella cultura e linguaggio fotografico, e con particolare interesse segue lo sviluppo e le diramazioni dello stesso nella fotografia attuale.

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