Ho sempre ammirato il lavoro di Richard Mosse realizzato in Congo. Del progetto ne ho visto, però solo una piccola parte e, dal vivo, forse 2 o 3 fotografie al massimo.
Ecco perché questa grande mostra al Mast di Bologna è stata sin da subito un’occasione da non lasciarsi sfuggire il suo lavoro. Al Mast ci sono sempre grandi anteprime e questa è la prima mostra antologica dell’artista Richard Mosse mai realizzata qui in Italia. Curata da Urs Stahel, la scelta dei progetti e delle immagini è come sempre azzeccata, come perfetta è la presenza di materiali che spiegano nel dettaglio il lavoro del fotografo.
Quando si entra al Mast, nella sede espositiva principale, ad accogliere i visitatori solitamente c’è una grande foto che prende tutta la parete. Anche per questa mostra è stato così e questo ci immerge sin da subito nel mondo di Mosse. I sentimenti, le emozioni che queste immagini sanno suscitare, sono però contrastanti e anche le esclamazioni sono differenti. Dal mio “stupendo” a bocca aperta al “mi mette angoscia” di un’altra coppia di visitatori vicini il passo è stato davvero breve.
Sì, in effetti “Displaced” (così il titolo di questa mostra) non lascia indifferenti e ci permette di scoprire tre progetti di Mosse. Si passa dal conflitto in Congo all’Amazzonia e ai problemi climatici per poi arrivare al tema della migrazione che Mosse esplora in maniera unica e di nuovo originale.
La mostra parte dal lavoro in Congo con tutta una serie di fotografie realizzate con la speciale pellicola Kodak Aerochrome, una infrarossi fuori produzione usata per la ricognizione militare. In tutte le immagini domina un colore rosa che va a sostituire il colore verde della natura. Una natura che si tinge di rosso per i conflitti e la guerra.
Una dopo l’altra le fotografie ci portano a scoprire un mondo quasi surreale da cui però non si riesce a distogliere lo sguardo, di cui si vuole sapere sempre di più.
Stanza dopo stanza si arriva al tema migrazioni che Mosse esplora con nuove strumentazioni. Si parte da un grande muro visivo in cui passano immagini e video rrealizzate con una termocamera per usi militari in grado di individuare differenze di temperatura fino a trenta chilometri di distanza. Video dove non si riconoscono i volti, o meglio dove questi appaiono sfigurati, quasi come forme prove di identità. Immagini che trasmettono tutta l’angoscia di queste persone in fuga da un mondo a cui non appartengono più.
Sempre qui si possono scoprire anche alcuni lavori tratti dalla serie Ultra dedicati alla natura della foresta amazzonica. Immagini realizzate con una tecnica di illuminazione a fluorescenza UV. In Tristes Tropiques, invece, si parla di clima e delle conseguenze che l’impatto della deforestazione nell’area brasiliana tramite immagini scattate da droni su una pellicola multispettrale, una sofisticata tecnologia fotografica satellitare.
Per capire poi meglio il lavoro realizzato da Mosse al piano 0 del Mast ci sono anche tre esperienze immersive. Si parte dal video realizzato dal fotografo in cui racconta come è nato il progetto in Congo e il perché Mosse ha deciso di utilizzare quella speciale pellicola. Ancora in Congo ci si immerge totalmente in una sala con tv sospese in cui vengono proiettati in loop dei video realizzati da Mosse. In questi video si ritrovano le scene del prima e dopo di alcuni scatti presenti in mostra. Infine, una terza sala è dedicata alla proiezione di Incoming con riprese realizzate dalla termocamera militare.
Il modo di fotografare di Mosse, insomma, è certamente sperimentale ed ogni lavoro riesce a trasmettere ed immergere lo spettatore in modo unico rendendo questa mostra una tappa da non perdere.
Da vedere, quindi, non solo perché è la prima antologica di Mosse ma anche perché racconta in modo esaustivo e sperimentale tutto il suo lavoro. Ci fa entrare in diversi mondi, ce li racconta da un punto di vista nuovo e inaspettato. Per una mostra che sorprende e fa suscitare emozioni contrastanti.